L'Asino fu una rivista di satira politica che nacque a Roma il 27 novembre 1892.Titolo completo: L'Asino è il popolo utile paziente e bastonato. |
Il tono paternalistico della giurisprudenza relativa ai fallimenti ti fa pensare di vivere in un tempo recondito, tra parrucconi senza cognizione della realtà e di cosa stiano facendo, anche quando mettono mano a una legge fascista, che nel regolare situazioni economiche svantaggiose, coinvolge atrocemente anche le persone fallite con crudeltà inaudita, cinismo e cattiveria, caratteri tipici appunto della prevaricazione.
Anche gli interventi dei giuristi e studiosi, che si dicono favorevoli ad aiutare la parte debole dell'industria fallimentare, sembrano orientati a curare la forma a discapito della sostanza, quasi che le leggi esistenti sul fallimento siano impossibili da cambiare, se non per una virgola, il tempo di un verbo e via dicendo, mai rinunciando agli amati brocardi. Gli sforzi linguistici sembrano quindi esercizi accademici. E così la macchina di distruzione di aziende e persone va avanti indefessa sotto il ghigno sornione di chi coi soldi ci sa andare e fa di una disgrazia un guadagno: affaristi, opportunisti, concorrenti sleali, mafiosi.
Il fallito viene quindi trattato come un potenziale pericolo per la società, come un deficiente da chi ne elenca con sufficienza gli errori commessi, come può non solo l'uomo della strada o l'utente facebook, ma anche il compaesano di turno o gli stessi ex dipendenti, fino a diventare un incapace, mentre magari come imprenditore ha gestito indefesso un'azienda per decenni. Nelle leggi si parla così di "buona condotta", di "soggetti meritevoli" a ricevere ad esempio il "beneficio" dell'esdebitazione, ovvero la cancellazione dei debiti residui per poter tornare a nuova vita, solitamente dopo almeno dieci anni dal fallimento.
In buona sostanza un fallito viene giudicato alla stregua di un delinquente, anzi uno stragista riceve un trattamento migliore, perché come imprenditore fallito la tua condanna sarà "fine pena mai". Il disinteresse della comunità verso i falliti dipende inoltre dal fatto che ci si misura con le proprie tasche, perché davanti a una storia di fallimento si percepiscono a rischio i propri soldi, in virtù dei neuroni specchio, di conseguenza socialmente un fallito non si scusa e non si accetta. Non è un malato terminale, un disabile o un migrante.
Tutto ciò invece è totalmente ingiusto, perché una legge fascista non può che generare altri mostri, ingiustizie e violenze mascherate dalla giustizia come autorità imprescindibile e inattaccabile. Non è questo un modo civile di operare, se si accetta di applicare oggi nel terzo millennio una legge fascista, che procura nel fallito dolore, vergogna e annullamento della propria vita sociale, lavorativa e contributiva con esiti anche estremi come i suicidi e i tentati suicidi, che passano come prassi al pari della routine di un gioco d'azzardo.
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Post originali di Roberta Niccacci
Storia di un'azienda artigiana italiana in tempo di crisi
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1 commento:
Cara Roberta, forse ti ho già scritto che noi Italiani siamo fascisti nel sangue. La cosa dolorosa è che il DNA di un popolo non lo cambi, così come non cambi quello degli esseri umani. Questo è un paese da cui fuggire, se si è in cerca di civiltà.
La cosa che ci preserva e salva è la storia, il fatto cioè che dopo aver conquistato i Greci ci siamo lasciati conquistare dal loro pensiero e che, qualche secolo dopo, ne abbiamo sentito nostalgia e abbiamo creato l'Umanesimo e il Rinascimento.
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