A quale punto si può parlare di delegittimazione dello Stato per favorire l'interesse privato? Quanti "professionisti" impiega l'industria dei fallimenti in Italia e qual è l'indotto creato dalle aste giudiziarie? Mi domando come mai siano solo Maria Luisa Busi e Milena Gabanelli che si siano interessate al fenomeno di distruzione di massa per mano dell'industria dei fallimenti autorizzata dallo Stato. Non esiste infatti un'inchiesta giornalistica in corso sui fallimenti. Poi ci sono articoli che escono di quando in quando sulla stampa a tema fallimenti, ma sono per lo più grida di dolore dei condannati nel girone infernale dei tribunali con in cronaca qualche suicidio di falliti.
Nel caso della nostra azienda artigiana, sono passati ad esempio già dieci anni dal fallimento e quattordici anni dall'esecuzione immobiliare del nostro laboratorio. Andrà a finire che i creditori, ovvero le banche, raccimoleranno neanche un decimo del valore degli immobili che sono andati all'asta. Dove sta la convenienza dello Stato nel permettere di distruggere un'azienda, che portava contributi alle casse dello Stato per andare poi a favorire con il suo annientamento in primis burocrati di lusso, "professionisti" e dipendenti privati che non producono ricchezza, ma anzi vivono dei rovesci altrui e lautamente si mantengono?
Mi risulta dalla storia che sia la mafia a vivere delle disgrazie altrui e quindi bisogna stare molto attenti a dare del mafioso a chi per tradizione vive appunto di catastrofi, crisi sanitarie, debolezze dei cittadini, perché in uno Stato democratico non si può mascherare dietro la legge un commercio parallelo a danno dei contribuenti dello Stato, dove non è possibile per chi fallisce essere ascoltato né tramite i rappresentanti di partito e tantomeno tramite le associazioni del terzo settore a sostegno dei falliti, operando quest'ultime come volontariato e quindi carenti del tempo necessario per sposare la causa dei falliti al fine di agire con un'azione comune sul territorio.
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