Quale epifania per un fallito? |
Nel mese di marzo prossimo festeggeremo dieci anni dal fallimento della nostra azienda. Se parli con un tecnico, ti dice che devi stare contento, perché le aste vanno per le lunghe e non ti hanno ancora portato via la casa. Intanto tu sei fallito e non puoi avere un conto in banca, non puoi ricominciare un'attività, perché le banche non ti fanno credito, stai dentro la tua casa in attesa che la tortura del fallimento finisca. Non era forse meglio un colpo secco e via? Un taglio della testa immediato, come ai tempi della crudeltà (come se oggi non fosse peggio di allora), così da chiudere la questione e ripartire con una "fresh start in life"?
Quando fallisci, non terminano infatti la sofferenza bancaria e l'incapacità di uscire da acque melmose, ma inizia invece il procedimento lungo e penoso di spoliazione lenta da parte del tribunale, una morte civile in mano ad aguzzini messi lì dallo Stato, che non controlla cosa succede ai suoi ex contribuenti e ex sostituti d'imposta, che eravamo noi. Il disinteresse dello Stato verso i falliti è roba da far accapponare la pelle.
Quindi non esiste epifania per un fallito, l'evoluzione della sua stella non raggiunge il suo apice, perché la vacca deve rimanere viva e alimentare 1) un mercato immobiliare parallelo a quello civile, in cui le agenzie immobiliari si sono inserite come consulenti 2) favorire mafiosi e speculatori, senza fornire un registro dei compratori, che godono di tutele 3) distruggere le famiglie che davano vita all'azienda, perché anche i figli dei falliti vengono perseguitati in via extra-giudiziale tramite i cartolarizzanti.
In tribunale farebbero meglio a scrivere "processo" fallimentare anziché "procedura" fallimentare, perché in un fallimento si sconta una pena detentiva, come persona vieni privato della tua libertà di tornare a lavorare come artigiano. Nessuno ti prende alle dipendenze, alle aziende concorrenti interessa approfittare della tua morte, impossessandosi di campionari e laboratori tramite le aste. Scrivono che con il fallimento non si possono esercitare le seguenti professioni: farmacista, avvocato, dottore commercialista, notaio, che per me è una presa in giro: ne avete visto fallire uno? Come farebbe un imprenditore a ricoprire queste professioni?
Chi fallisce infatti sono artigiani e commercianti, spesso senza un titolo di studio, ma che con passione e dedizione hanno portato avanti aziende per decenni e non erano preparati alle crisi del 21° secolo, pur avendo commercialisti e consulenti al proprio fianco, necessità generata dagli impegni burocratici richiesti dallo Stato e che hanno aumentato le spese di gestione, come se si fosse un'azienda di grandi dimensioni.
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FRIENDS OF CAMA Il blog
Post originali di Roberta Niccacci
Storia di un'azienda artigiana italiana in tempo di crisi
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