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Una chiave di 2.200 anni fa |
"Troia è caduta, lascia che cada anche il nome", scrive Virgilio nell'Eneide, per spiegare perché l'Italia non porti il nome dei vincitori, ovvero dei Troiani.
In latino il verso è il seguente: "occidit, occideritque sinas cum nomine Troia." (Aen., XII, 819-828). Andrea Marcolongo illustra questa ed altre interpretazioni relative all'Eneide nel suo libro, nato in lockdown, dal titolo: "La lezione di Enea", Editori Laterza, 2020 (pp. 203).
Il saggio di Andrea Marcolongo è per me significativo dal punto di vista della mia storia personale e della storia collettiva, che stiamo vivendo con il Covid-19. Il libro crea infatti un collegamento tra le prospettive della post-pandemia e un nuovo inizio, che ci indica Enea, fondato sulla "capacità di resistere e di sperare". "Una lezione attualissima", scrive la casa editrice in quarta di copertina.
Leggendo il verso "Troia è caduta, lascia che cada anche il nome", mi chiedo quindi se non sia il caso di lasciar andare anche il nome "C.A.M.A.", emblema dell'azienda della mia famiglia, caduta sotto il peso delle ingiurie, delle divisioni, di una storia di patrimonio travagliata, di un'eredità familiare difficile da consegnare agli eredi; sotterrata infine sotto il peso del cemento aggiunto al laboratorio, che tanto stona con il procedere artigiano.
La storia della "C.A.M.A." era iniziata per me con un'immagine di 50 anni fa, ovvero di una porta murata a piano terra: i due ultimi soci rimasti della C.A.M.A., Cooperativa Artigiana Maioliche Artistiche, si erano divisi e così avevano smezzato il laboratorio in due parti nette a destra e a sinistra: separati per sempre da un fondello centrale.
Il laboratorio era stato creato originariamente a forma di ferro di cavallo. Ora il ferro di cavallo era spezzato. Sarebbe iniziata così una lunga concorrenza tra le due parti, con la mia famiglia in svantaggio, perché il socio uscente era responsabile delle vendite e aveva anche le maestranze dalla sua parte. La mia famiglia, con a capo mio nonno e mio padre, era perdente fin dall'inizio. Sarebbe ripartita nel 1971 senza neanche il pozzo dell'acqua.
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La scritta originale C.A.M.A. degli anni '50 è inscritta in una sezione aurea (studio di Marco Lucarelli, Perugia) |
Perché accettare la sfida di chi è più forte di te? Perché non abbandonare il campo e ricominciare da zero anziché da sottozero?
La nuova situazione economica della mia famiglia avrebbe condizionato tutta la mia vita e intaccato la felicità della mia famiglia. Avrei finito con l'invischiarmi in giochi di potere relativi all'azienda, che poi si sarebbero trasferiti anche all'interno del nucleo familiare, tra mio padre e mio nonno e poi tra mio padre e mia madre. Una storia di famiglia da dimenticare, che neanche il successo degli anni Novanta è riuscita ad annullare, quando dopo più di vent'anni di sacrifici, la C.A.M.A era riuscita ad imporsi nei mercati internazionali con uno dei migliori prodotti artigianali di qualità.
Da piccola, ogni volta che c'era da fare una scelta, pensavo che i miei genitori erano nelle spese per la fabbrica: "Roberta, vuoi andare a studiare danza classica a Milano o a Roma?", "No, perché si spende troppo"; "Questa cosa non possiamo comprarla", dicevo al mio fratellino, che con la manina al nuovo supermercato mi indicava un oggetto che gli piaceva, "I genitori devono pagare il nonno". I miei genitori stavano ricomprando la fabbrica...da mio nonno!
Un altro inizio, di nuovo un ricominciare da sottozero qualche anno dopo la porta murata.
Che poi riguardo alla danza, come si fa a chiedere a una bambina di 8 anni quel che vuol fare della vita così con una domanda, senza fermarsi un attimo a pensare, a parlare insieme a lei per ponderare la scelta giusta? Il direttore della scuola di ballo del teatro Morlacchi stava andando in giro per le scuole di danza classica del comune in cerca di talenti. Mi aveva scelto ma io ho perso il treno.
Così allo stesso modo ho vissuto una vita di fretta. Il mondo della mia famiglia era la fabbrica, la C.A.M.A., un gran pensiero, un ansiogeno perenne, un peso. Tutto il resto era costituito da scelte di vita superficiali. La parola chiave era: fretta.
Per certo ora un punto fermo per cambiare il passato è che dalle aste giudiziarie della C.A.M.A. non ricompro nulla, neanche se ne avessi la possibilità. Per fortuna il destino mi ha impoverito a tal punto, che posso rifuggire ogni tentazione di riprendere anche una minima parte del patrimonio che sta andando disperso. Questo sacrificio mi serve per spezzare le catene del passato, in cui il mio babbo non ha fatto altro che ricomprare dai parenti (l'ex socio), dai familiari (da suo padre) e anche dai congiunti, in sede di eredità personale alla morte del mio nonno.
Sai una cosa? Il mio babbo è innamorato del nome C.A.M.A. Potrebbe aver sfidato il destino... in nome di un nome?
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