Ogni grido di ingiustizia dei falliti è inascoltato; i giudici sono come secondini, che passano per i gironi infernali danteschi e non si curano di chi soffre per procedure senza fine e che, come conseguenza del fallimento, provocano dolore fisico, sfregio ed emarginazione sociale.
I falliti rientrano tra i poveri, perché se fallisci da persona onesta, ne esci distrutto e senza soldi. Sei perseguitato a vita dal tribunale per via giudiziale e dai cartolarizzanti per via extra-giudiziale: è una vita senza tregua.
Sembra che il solo che si interessi ai poveri sia il Vaticano, perché, per quanto riguarda la giustizia, tu puoi fare poco o niente. Ad esempio non puoi portare al giudice come osservazione che chi si è aggiudicato il tuo laboratorio è un ex concorrente di Deruta fradicio di soldi e che tramite le aste il tribunale sta regalando un bene svalutato dell'80% a persone che sono già ricche.
Qual è la convenienza dello Stato a intervenire nel fallimento di un'azienda artigiana, riducendola in polvere, senza più introiti per le sue casse, favorendo il mercato delle aste, in cui gravitano persone senza scrupoli e concorrenti sleali, che si arricchiscono a spese delle disgrazie altrui?
E pensare che, se all'asta non fosse intervenuto questo ex-concorrente di Deruta, il laboratorio ce l'avrebbero ridato: certo ora è come una nave alla deriva, sventrato dai pirati e ridotto a quattro tavole di legno infradiciato. A dicembre saranno passati dieci anni dall'istanza di fallimento e tredici anni dall'esecuzione immobiliare da parte della banca. In questi anni il tribunale ha raccolto le briciole, regalando strumenti da lavoro e ora il laboratorio a speculatori dello stesso paese. Un'azione crudele, "a cruel act", dicono i clienti americani, che ho già avvertito per far sapere di cosa è capace l'azienda da cui si servono e che si è aggiudicata il nostro laboratorio.
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