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giovedì 30 settembre 2021

Strumenti da lavoro

Lo strumento dello studio è
un mezzo a disposizione di tutti ed è inalienabile


"Noi artefici siamo già ricchi quando sappiamo di lavorare per uno scopo più grande della ricchezza di denaro" (Zulimo Aretini, 1923)

Quando hai perso tutto, ti rimane uno strumento inalienabile, che nessuno ti può pignorare ed è appannaggio di tutti: lo strumento dello studio. Per fortuna nessuno ti può portare via il fuoco sacro, che ti serve per non morire davanti alle ingiustizie, alle esperienze massacranti della vita e in un fallimento sentenziato da un tribunale. 

In questi anni dal 2009 ho cercato collaborazioni, interazioni e contatti tra la gente, con le associazioni, le amministrazioni, ex concorrenti e privati cittadini ma non ho ottenuto niente di buono, se non prestarmi per essere usata a realizzare progetti di altri o per fare volontariato in passatempi paesani. Mi sembrava che la crisi fosse passata come un maremoto solo sulla nostra azienda. Il resto del mondo andava avanti e poi le persone avevano anche l'ardire di lamentarsi come avevano sempre fatto. Non sapevano cosa significasse un fallimento. 

Non lo sapevo neanche io cosa volesse dire veramente un fallimento, finché il cappio al collo di noi della famiglia non si è stretto e i tempi burocratici hanno raggiunto il loro apice, ovvero i cartolarizzanti mi hanno pignorato il conto corrente bancario e la PostePay per meno di cinque euro e infine quando la prima casa dei miei genitori è andata all'asta quest'anno. Il fallimento è una morte lenta per via di stillicidio. 

In un fallimento ti abitui quindi allo sfregio, a vedere passare di mano tramite l'istituto delle aste per cifre irrisorie a ex concorrenti e ex fornitori di Deruta quello che era stato acquistato col sacrificio, nella crudeltà più assoluta di gente senza scrupoli. Quindi quello che ti rimane in un fallimento è ciò che non ti può toccare nessuno, l'intangibile, l'eterno a cui puoi attingere quando sei in galera, ad esempio, o in situazioni estreme. 

Ciò che per me all'inizio di questo blog nel 2009 era stato un richiamo scolastico, ovvero tornare alle radici rinascimentali della nostra arte ceramica per trovare contenuti, ora per me questo stesso impegno di studio è diventata una necessità, una ragione di sopravvivenza e di rinascita, in un mondo dell'impresa dominato dall'opportunismo e dalla distruzione, con l'appoggio delle istituzioni, dei sindacati e del governo: comandano i soldi, mascherati da valori e diritti da difendere, nell'oltraggio più totale di chi finisce nelle maglie del fallimento. 


      Articolo uscito su Perugia24H.net sulla Cama 





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martedì 28 settembre 2021

Crudeltà e accanimento

Se passi per una sezione fallimentare, pensati come
peggio di un cane abbandonato

Sarei curiosa di sapere quanti imprenditori falliti in Italia a far data dal 2007 sono ripartiti con una propria azienda e quali sono le condizioni per ricominciare dopo un fallimento, che passa per la sezione fallimentare di un tribunale. 

Esiste infatti una differenza sostanziale tra il fallimento, che traduce "to fail", ovvero una non riuscita di un progetto imprenditoriale, e il fallimento di "to go bankrupt", fare bancarotta, che non è necessariamente "bancarotta fraudolenta", ma una chiusura aziendale sentenziata dal tribunale. 

Chi si interessa dei disgraziati finiti nelle maglie della fiorente industria italiana del fallimento in tempo di crisi? Esiste una qualche commissione governativa che monitora i fallimenti e ne segue le ripercussioni sul tessuto sociale, economico e personale dei falliti? C'è un qualche interesse per gli imprenditori caduti sul campo? 

La crisi conosciuta come "grande recessione" è iniziata ufficialmente nel 2008 e perdura attualmente in Italia senza discontinuità, incentivata dalla crisi sanitaria da Covid-19. Molte piccole aziende come la nostra si sono trovate impreparate alla crisi, perché, come scrivono i saggisti: "La ricchezza al cambio del secolo era drogata". Noi infatti ci stavamo organizzando per accogliere più lavoro, intenti ad ampliare la sede produttiva. È proprio il cemento che ci ha fatto affondare. 

In ogni modo scorrendo tra gli articoli online, io vedo solo statistiche sui fallimenti, ma un totale disinteresse per la fine che è toccata ai falliti. Noi ad esempio siamo in ballo dal dicembre 2011, quando due nostri dipendenti hanno presentato istanza di fallimento della fabbrica; poi a marzo 2012 il fallimento è stato sentenziato dal tribunale. 

In questi anni la fabbrica è stata sventrata internamente di forni, scaffalature, macchinari e tavoli, dati via per cifre irrisorie come il nostro campionario di centinaia di pezzi acquisiti da un ex concorrente di Deruta senza scrupoli. Ora il laboratorio andrà all'asta dopo dieci anni al 19% del suo valore. Anche la prima casa dei miei genitori è già andata all'asta una volta quest'anno. 

Il risultato è che noi della famiglia siamo privati della nostra vita da dieci anni per aver commesso un danno economico, senza sapere cosa poter fare per ricominciare. Abbandonati a noi stessi, stiamo scontando una vera e propria pena, dimenticati dal mondo. Con la sensibilità che c'è oggi per gli animali, penso che il trattamento dei falliti non si riservi neanche alle bestie


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domenica 26 settembre 2021

Mulini a vento

 

L'espressione "lottare contro i mulini a vento" viene dall'opera di
Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, pubblicato per la prima volta nel 1605

Mi è stato fatto presente che le mie rimostranze riguardo all'ingiustizia del fallimento siano come una lotta contro i mulini a vento, soprattutto se la mia azione è pensata come invettiva al sistema burocratico. L'obiezione può essere giusta, nel senso che in un fallimento i burocrati sono convinti di fare il proprio lavoro; un lavoro da boia, vorrei aggiungere, senza un minimo di senso critico e nel completo disinteresse verso le persone esecutate

Ciò che desidero portare all'attenzione dell'opinione pubblica è che in un fallimento si sconta una vera e propria pena detentiva fuori dal carcere, perché vieni privato della tua libertà per anni e anni, nella completa inutilità del sistema e nello sfregio più totale. Basti pensare che dopo più di un decennio il nostro laboratorio andrà all'asta per il 19% del suo valore iniziale stimato dal tribunale. Per non parlare del nostro campionario "regalato" a un ex concorrente senza scrupoli dello stesso paese. 

Come persone, in un fallimento gli esecutati vivono in uno stato di incertezza perenne riguardo alla propria posizione sociale e lavorativa, senza la possibilità di ricominciare a contribuire economicamente nell'immediato e godere di una propria indipendenza. Se fallisci, sei rovinato per il resto della tua vita. 

IL FALLIMENTO EQUIVALE A UNA PENA DI MORTE CIVILE. A CHI GIOVA L'INDUSTRIA DEI FALLIMENTI? 

Il punto è che, a fronte di un danno economico da scontare con i propri beni mobili e immobili, non si può essere messi allo sbando come persone in mano ai burocrati secondo i loro tempi e modi. Il fallimento non dovrebbe essere materia di tribunali, perché il trattamento dei falliti è peggiore di quello che gli stessi riservano ai delinquenti, senza programmi di riabilitazione sociale ed economica dei falliti, sui quali prima del fallimento lo Stato poteva contare come contribuenti delle proprie casse oltre che sostituti d'imposta. 


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mercoledì 22 settembre 2021

Trampolino di lancio

foto di Adam Pretty

Sono convinta che chi non è passato per un fallimento sentenziato dal tribunale non si renda conto di quel che significhi per chi lo subisce. Lo capisco dai feedback che ricevo. In più, essendoci di mezzo il denaro, gli interlocutori sono schivi e per la maggior parte esprimono un giudizio di condanna pur senza parole. Il denaro è in cima alle priorità e le persone si sentono chiamate in causa a difesa delle proprie tasche. 

Esistono inoltre delle storie metropolitane sul fallimento legate all'immaginario collettivo, ovvero che si fallisca coi soldi e che sia una truffa per riaprire. Per i più sognatori il fallimento equivale a un trampolino di lancio per ricominciare. Riaprire un'azienda dove? In Italia? Quando? A distanza di dieci e più anni dal fallimento? Aspettando l'esdebitamento? Non siamo negli Stati Uniti. 

In Italia, se dici che hai fallito da persona onesta, prima di tutto passi per fesso. Perché il nostro è il Paese dei furbi. Poi il passo successivo è di indagare perché sei fallito, diventando tutti scienziati un po' come succede su facebook. I più arditi, anche tra gli pseudo-professionisti, sono pieni di pregiudizi e di parole di condanna per il fallito. La tua storia imprenditoriale di decenni viene spazzata via in un attimo. La crisi planetaria passa in secondaria importanza. 

Per quanto riguarda infine il trampolino di lancio, esiste una confusione di termini, che viene dalla traduzione indiscriminata delle parole inglesi "to fail" e "to go bankrupt", ovvero rispettivamente "non riuscire (in un progetto, in un esperimento ad es. imprenditoriale) e "fallire (passando per la sezione fallimentare di un tribunale)". Sembra che il primo verbo "to fail" abbia sostituito il secondo "to go bankrupt", che vuol dire in effetti "fare bancarotta", che non significa necessariamente bancarotta fraudolenta. 

Il primo "to fail" è legittimo per un imprenditore, anzi è l'errore che notoriamente porta al successo di un progetto. Lo si accetta; il secondo "to go bankrupt" ti annulla come imprenditore e come persona, perché passi per il tribunale, che ti annienta. In Italia, dopo un fallimento da tribunale, non puoi ricominciare con una tua impresa, a meno che non trovi un prestanome, chi vuole mettere i soldi per conto tuo, non ci puoi mettere la tua faccia, perché il fallimento da tribunale è un'esperienza distruttiva della persona al pari della carcerazione, che non è riabilitativa. D'altra parte i tribunali sono gli stessi e il fallimento si rivela una forma di detenzione senza sbarre. 


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martedì 21 settembre 2021

Pena detentiva a tempo indeterminato



Le esecuzioni immobiliari e i fallimenti, che passano tramite le sezioni fallimentari dei tribunali, sono una tortura verso i contribuenti caduti in errore. I tempi moderni non hanno cancellato lo sfregio pubblico, che si voleva perpetrare già al tempo dei romani e poi anche nel Rinascimento. Anzi, allora l'esecuzione era immediata, in pubblica piazza, mentre oggi passano anni e anni per aspettare che i tuoi beni all'asta vengano svenduti: i tuoi sacrifici di una vita regalati a gente senza scrupoli, ex-concorrenti o altri disgraziati. 

Il fatto che la legge fallimentare in Italia sia stata scritta al tempo del Fascio la dice lunga su cinismo umano, che attinge appunto al mondo classico nella maniera più aberrante. Non c'è correzione al Regio decreto del 1942, che possa cancellare la pesante eredità fascista e antidemocratica della legge sul fallimento. 

Le conseguenze del fallimento sugli esecutati sono quelle di sopportare una pena, scontare un tempo infinito, in cui nel frattempo non puoi essere riabilitato a livello economico e sociale. Le conseguenze psicologiche sono notevoli. Non puoi neanche difenderti, perché come si dice, un avvocato accanto a un fallito è come un medico che assiste un malato terminale. 

I più cinici, anche tra gli avvocati, ti dicono che potevi pagare e non fare debiti. Il giudizio è giusto, per quanto ci siano le attenuanti non trascurabili di una crisi a livello planetario, ma ciò che è ingiusto è come viene trattato il fallimento, la mancanza di rispetto per la persona, l'utilizzo di sistemi legali antiquati e complicati, che trasformano il tempo dell'esecutato in uno sconto di pena. 

Quindi in un fallimento si paga l'errore economico due o più volte: con i tuoi beni, il cui valore è svilito ingiustamente, poi col tuo tempo: anni e anni a aspettare che finisca il procedimento, infine paghi con la salute, che ne risente, perché a differenza dell'immaginario collettivo, un imprenditore onesto non fa bancarotta fraudolenta, ovvero fallisce coi soldi o fallisce per riaprire. Quando fallisci e passi per il tribunale fallimentare, la tua vita personale e professionale è distrutta per sempre con grande sofferenza. 

Tutto questo ha senso? Qual è la convenienza dello Stato a distruggere persone e cose in questo modo? Qual è l'obiettivo di burocrati e governanti in tema di fallimenti

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mercoledì 15 settembre 2021

Agonia senza fine

Ferdinand Hodler, Valentina in agonia, 1915, Kunstmuseum Basel

Il fallimento, che passa per le sezioni fallimentari dei tribunali, è un'agonia senza fine, perché espressione della massima inefficienza del sistema. Il fallimento potrebbe essere paragonato infatti a una tortura, in cui si infliggono deliberatamente sofferenze tramite la dilatazione dei tempi burocratici. Cosa dobbiamo imparare? Qual è la lezione? Come imprenditori non abbiamo bisogno di nessuna lezione da parte dello Stato per aver fallito in tempo di crisi, abbiamo già perso tutto e siamo su lastrico.

In aggiunta in Italia non ti viene data la possibilità di ricominciare tutto daccapo, perché con il fallimento vieni civilmente annientato. Nel frattempo uno stuolo di professionisti si nutre delle tue lacere carni, come gli avvoltoi e gli sciacalli in convivio sulla carcassa di una carogna. Come puoi riprendere a lavorare se per almeno dieci anni, come nel nostro caso, sei stato immobilizzato dalla procedura fallimentare?

Mi dicono che la soluzione per liberarsi dal peso del fallimento sia l'esdebitamento, ma questo può avvenire solo a conclusione della procedura fallimentare, ovvero dopo la vendita dei tuoi beni immobili: il laboratorio artigiano e la prima casa dei miei genitori, che verranno regalati all'asta dopo 15/16 esperimenti, fino a raggiungere il prezzo vile. Non sarebbe stato forse meglio prenderci tutto subito e lasciarci liberi di ricominciare a vivere?

Come nei migliori sistemi antidemocratici, in un fallimento la persona non viene rispettata a livello finanziario, sociale ma soprattutto psicologico. La burocrazia usa sistemi legali antiquati e complicati e diventa la peggiore forma di persecuzione, in cui si insinuano anche persone e entità senza scrupoli. In un fallimento si sconta una vera e propria pena detentiva, prigioniero della tua vita senza sbarre in un cinico teatro dell'assurdo. 


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domenica 12 settembre 2021

Il fallimento emanazione del maschilismo


La legge fascista sul fallimento non può essere emendata, può solo essere cancellata e riscritta in termini democratici e di rispetto della persona. In questi dieci anni dall'istanza di fallimento dell'azienda artigiana della mia famiglia io mi sento una suddita di un mondo maschilista, che non conoscevo. Sapevo di vivere in una società dominata dai burocrati, ma non mi ero resa conto fino a che punto di sopraffazione si potessero spingere. 

Gli strenui difensori della democrazia vogliono far togliere i fasci littori dalle opere architettoniche fasciste, errore gravissimo per la storia dell'arte, mentre non si curano di far cancellare leggi fasciste desuete, a danno della collettività, del tessuto economico e sociale. Ritorna il jingle della forma, della nostra propensione tutta italiana alla cura degli ideali, di ciò che non ci tocca ma ci disturba la vista, perché siamo profondamente individualisti e teniamo ai nostri soldi più dei padroni che abbiamo combattuto. 

Quindi quando si parla di fallimento, il primo pensiero va alle nostre tasche. Non ci sono altri pensieri: per il territorio, per la perdita delle aziende, per il bene collettivo e per il dolore che si produce in un fallito. Quindi a chi potrebbe interessare una soluzione diversa di come viene trattato ora il fallimento? Neanche gli stessi falliti sono uniti per la lotta alle ingiustizie, in cui si finisce già per lo stesso fatto che si risponde ad una legge fascista, che ti porta a chinare il capo senza possibilità di replica. 

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venerdì 10 settembre 2021

Oggi, giornata mondiale di prevenzione del suicidio

Édouard Manet, Il suicida, 1877 circa, Fondazione  E.G. Bührle, Zurigo


Dal 2012 in Italia esiste un numero verde contro il suicidio, istituito nella regione Veneto dal governatore Zaia, per andare incontro agli imprenditori e ai dipendenti, che in tempo di crisi tentano il suicidio. Nonostante la frequenza dei suicidi una volta ogni due giorni e mezzo, si fa fatica a credere a questa realtà. 

Come è possibile che una situazione economica compromessa possa portare alla morte di una persona? Il collegamento tra perdita del lavoro, fallimento della propria azienda e crisi economica non può essere un motivo per farla finita. Eppure posso raccontare la mia storia personale, in quanto mia madre è andata vicino al suicidio e ora in anagrafe sanitaria risulta come "depressa", perché a quanto sembra, il tentativo di suicidio viene classificato "depressione da shock". 

Sempre dalla mia esperienza viene la fine di una persona di neanche di sessant'anni, che qualche anno fa si è lasciato morire, perché si era indebitato e non sapeva come uscire dal vortice in cui era finito: lo hanno fatto fallire dopo morto. Si tratta della forma più crudele di fallimento, perché un morto non può difendersi, per quanto anche fallito da vivo, se ti fai affiancare da un legale, sei un morto che cammina, destinato alla cancellazione dal mondo civile. 

Per un imprenditore, a fronte di un debito, non esiste infatti prescrizione, mentre se un delinquente ti ruba i soldi, tu hai cinque anni di tempo per fargli una denuncia penale. Poi il ladro ti pagherà quello che vuole e determinerà lui la sorte. Invece il tuo destino in un fallimento, se sei un imprenditore, sarà solo uno e non sarai tu a decidere, ma "la legge". Trovo questa disparità di trattamento tra cittadini come una profonda ingiustizia: i delinquenti hanno la meglio e corsie preferenziali. Questi e altri pensieri si affollano nella mia mente, oggi 10 settembre, giornata mondiale di prevenzione del suicidio. 



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mercoledì 8 settembre 2021

Dieci anni di galera

 


Si avvicina il 30 dicembre, data di presentazione in tribunale a Perugia dell'istanza di fallimento della nostra azienda per mano del dipendente più anziano in termini di anni di attività. Saranno passati dieci anni da quel giorno, che ha cambiato la mia vita, trasformandola in un luogo di detenzione senza sbarre. Perché proprio il 30 dicembre? Ci sarà stata una scadenza per legge, entro la quale ottenere quanto dovuto per diritto. Dietro al dipendente lo zoccolo duro dei sindacati. 

E chi tutela gli imprenditori? In dieci anni non abbiamo più sentito un'associazione di artigiani, CNA o CONFARTIGIANATO, la Camera di Commercio o l'ente bilaterale, che a suo tempo richiese il contributo per ciascun dipendente: per fare cosa? Quando una piccola azienda fallisce, rimane sola in mezzo all'oceano, senza soldi, perché solitamente è questa la ragione per cui l'azienda fallisce: viene a mancare il grasso. Quindi? Come fa senza soldi l'ex imprenditore a pagare un avvocato? 

I miei genitori non possono neanche attingere al gratuito patrocinio, perché la loro prima casa, che è andata all'asta nel mese di maggio, deserta, risulta ancora a nome di mio padre, il cui reddito fa cumulo insieme a quello di mia madre. Per la prima volta siamo stati a fare l'ISEE e questo è quello che è venuto fuori: non hanno diritto a niente. Quindi? Hanno già 83 e 84 anni, tanto vale che passino il resto della loro vita ad aspettare la morte

Così, senza di loro, la casa sarà libera e lo Stato potrà regalare l'immobile al prezzo vile tra quattro/cinque anni a altri disgraziati, che prenderanno un mutuo per comprarla, oppure a un imprenditore edile, che magari la demolisce per farci un palazzo con più appartamenti. Così va il mondo e chi diventa debole non viene difeso: sei spazzato via come cenere davanti a un focolare, cenere che dà anche fastidio e va fatta sparire prima possibile dal pavimento pulito dell'ipocrisia, di cui è intriso lo Stato. 



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lunedì 6 settembre 2021

Persecuzione



Raccontare una storia di fallimento a voce o per iscritto è una responsabilità verso il prossimo, perché può suscitare nell'altro emozioni dolorose, riportando in superficie ferite più o meno recenti, fino a toccare il ricordo della morte di un proprio caro. In altri casi l'ascoltatore si mette sulla difensiva, rispondendo che la vita in tempo di crisi è dura per tutti. Infine c'è chi classifica i post sul fallimento come rabbia da sfogare o un piangersi addosso. 

Così non è per gli ultimi due casi: non è né rabbia né un piangersi addosso. Qui si tratta di far conoscere le inefficienze di un sistema burocratico, che utilizza mezzi legali antiquati e complicati, di portare all'opinione pubblica le conseguenze finanziarie, sociali e psicologiche che compromettono la vita dei falliti, traducendo l'esperienza di fallimento in una forma di persecuzione della durata di anni e anni, in cui si sconta una vera e propria pena detentiva. 

In Italia, se finisci nel girone infernale dei fallimenti, non ci sono alternative per ricominciare tutto daccapo come imprenditore e tantomeno come fidejussore. Siamo un Paese di piccoli e medii imprenditori e invece il sistema è pensato per le grandi aziende e per le multinazionali. Se eri socio fuoriuscito dall' azienda, vieni attaccato come fidejussore, ma se la fabbrica era il tuo unico sostentamento, come puoi rispondere da fidejussore al credito vantato? Sei quindi destinato alla morte civile o alla schiavitù finanziaria per tutta la vita. 

Così in questi dieci anni dal fallimento della CAMA ho scelto di vivere al minimo della sopravvivenza, rinunciando a rifarmi una vita professionale, non conoscendo cosa mi sarebbe successo domani, perché una delle caratteristiche della burocrazia italiana è la non trasparenza: devi sottostare all'incognito, devi vivere nell'incertezza, come un carcerato a cui accendono la luce senza avvertimento. Sei un suddito. Come fidejussore fallisci due volte, perché perdi tutto e vieni perseguitato su due fronti: dal tribunale che attacca i componenti falliti della tua famiglia e tu stessa che non ti liberi dei cartolarizzanti, i quali possono pignorarti il conto corrente e la Postepay e prenderti il quinto di un eventuale stipendio in qualsiasi momento. 

Attaccare le persone su due fronti è una forma di violenza autorizzata dallo Stato. Se tu, banca, ti sei presa gli immobili, li fai vendere dal tribunale ad un prezzo vile, non puoi prendere da due parti a fronte di uno stesso credito, venendo a cercare me, che ero socia in azienda. Noi gli immobili te li abbiamo dati in garanzia per il valore PER INTERO. Scontami il valore degli immobili per intero e vedi che vieni soddisfatta. Poi a quanto vendi il laboratorio artigiano o lo fai vendere alle aste non è affar mio. Questo a cui dai il benestare, caro Stato, si chiama gioco al massacro, perché regalare la nostra fabbrica al 19% del suo valore stimato a chicchessia vuol dire essere dei cani oltre che boia dei tuoi contribuenti una volta specchiati. 


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