Si avvicina il 30 dicembre, data di presentazione in tribunale a Perugia dell'istanza di fallimento della nostra azienda per mano del dipendente più anziano in termini di anni di attività. Saranno passati dieci anni da quel giorno, che ha cambiato la mia vita, trasformandola in un luogo di detenzione senza sbarre. Perché proprio il 30 dicembre? Ci sarà stata una scadenza per legge, entro la quale ottenere quanto dovuto per diritto. Dietro al dipendente lo zoccolo duro dei sindacati.
E chi tutela gli imprenditori? In dieci anni non abbiamo più sentito un'associazione di artigiani, CNA o CONFARTIGIANATO, la Camera di Commercio o l'ente bilaterale, che a suo tempo richiese il contributo per ciascun dipendente: per fare cosa? Quando una piccola azienda fallisce, rimane sola in mezzo all'oceano, senza soldi, perché solitamente è questa la ragione per cui l'azienda fallisce: viene a mancare il grasso. Quindi? Come fa senza soldi l'ex imprenditore a pagare un avvocato?
I miei genitori non possono neanche attingere al gratuito patrocinio, perché la loro prima casa, che è andata all'asta nel mese di maggio, deserta, risulta ancora a nome di mio padre, il cui reddito fa cumulo insieme a quello di mia madre. Per la prima volta siamo stati a fare l'ISEE e questo è quello che è venuto fuori: non hanno diritto a niente. Quindi? Hanno già 83 e 84 anni, tanto vale che passino il resto della loro vita ad aspettare la morte.
Così, senza di loro, la casa sarà libera e lo Stato potrà regalare l'immobile al prezzo vile tra quattro/cinque anni a altri disgraziati, che prenderanno un mutuo per comprarla, oppure a un imprenditore edile, che magari la demolisce per farci un palazzo con più appartamenti. Così va il mondo e chi diventa debole non viene difeso: sei spazzato via come cenere davanti a un focolare, cenere che dà anche fastidio e va fatta sparire prima possibile dal pavimento pulito dell'ipocrisia, di cui è intriso lo Stato.
1 commento:
Buongiorno, Roberta. I tuoi post non perdono di interesse, anche se mi procurano dolore
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