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giovedì 14 ottobre 2021

Una vita da perdenti

I buoi, nati tori, come esempio di sottomissione tramite il giogo. 

L'asta della nostra fabbrica artigiana, al prezzo vile di 134.708,44 euro per una proprietà totale di 1.530 mq, se l'è aggiudicata sembra il nostro confinante a fondello, ex socio del mio nonno Nazzareno Niccacci, che della fabbrica era anche presidente. Nel 1971 della cooperativa sorta nel 1954 erano rimasti due soci, che si sono divisi. Al momento della spartizione del laboratorio mio nonno ha avuto la peggio ed è rimasto senza clientela, senza caporeparto, senza lavoranti e senza pozzo, con l'illusione di aver preso soprattutto il nome CAMA, che a suo tempo era stato stimato per un valore di 6 milioni di lire. Era un'illusione, perché quello che restava della CAMA era una scatola vuota. 

Il passo successivo dell'ex socio di mio nonno è stato di ideare per la sua azienda un nome molto simile a CAMA, azione contro la quale a suo tempo mio nonno poteva richiedere i danni, ma non lo ha fatto. Quindi, anche alla concorrenza sleale perpetrata successivamente, mio nonno non ha risposto tramite le vie legali. Questa tradizione di sottomissione è durata negli anni e mio padre ne ha portato avanti l'eredità. Eppure l'ex socio godeva del consenso e stima del vicinato, perché era più forte economicamente e si comportava apparentemente da signore. La nostra vita di imprenditori è stata quindi una vita da perdenti, sempre in svantaggio, nonostante gli sforzi per realizzare un prodotto di qualità e il raggiunto successo di pubblico negli anni Novanta: vestivamo sempre i panni dei poveracci anche davanti alle banche, delle quali eravamo diventati dipendenti. 

Così ora il destino sembra riproporre lo stesso scenario di concorrenza sleale anche nel nostro fallimento. Non si fermano neanche davanti a un cadavere! Ora voglio vedere se mio padre si opporrà alla vendita all'asta a prezzo vile e una volta per tutte spezzerà il giogo della sudditanza a una vita di divisioni, rancori, ingiustizie e danni, che dall'ambito lavorativo si sono insinuati nella nostra vita personale. Infatti, dopo il 1974, quando mio padre è finito nelle maglie della fabbrica e ne è diventato titolare insieme alla mia mamma, nella nostra famiglia è finita la pace. Anch'io mi sarei buttata in scelte sbagliate, soprattutto a livello di carriera scolastica, come se fossi nata già una perdente. Dopo 50 anni esatti dal 1971, anno di inizio delle nostre disgrazie imprenditoriali e familiari, forse si intravede una via d'uscita per strappare finalmente le nostre vite a un destino atroce, che si è ripetuto per aver subito e mai reagito in maniera efficace alle angherie: rispondere finalmente tramite le vie legali. Vediamo se una giustizia esiste!

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