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lunedì 30 agosto 2021

Generosità

Richard Westall, La spada di Damocle, 1812,
Ackland Museum, Chapel Hill, USA 

Negli anni Novanta la nostra azienda ha conosciuto il benessere derivante da due decenni di impegno nel ricostruire la rete di clienti italiani e esteri: nel 1971 dalla CAMA era fuoriuscito infatti l'ultimo socio, portandosi via i dipendenti, la clientela e anche il pozzo dell'acqua, oltre ad un compenso in denaro. Mio nonno era allora presidente dell'azienda e stava subendo una nuova pesante sconfitta, per cui la CAMA sarebbe rimasta una scatola vuota. 

I miei genitori fino al 1971 erano stati dipendenti della CAMA e a quel tempo chi era dipendente riusciva a costruirsi una casa. Così hanno fatto anche i miei genitori e ora quella loro prima casa è all'asta. La venderanno ad un prezzo vile, prevedo tra quattro/cinque anni, secondo le crudeli regole della legge fallimentare, che alimenta un'industria di speculatori e professionisti i quali si nutrono delle disgrazie altrui, disdegnando debitori e creditori, con una sfacciataggine che sfida ogni sfregio di medievale memoria. 

Nel 1971, rimasto solo, mio nonno ha ceduto le quote ai miei genitori, così la CAMA è risalita a tre soci. La cessione di quote era gratuita, ma siccome nella vita di gratuito non c'è niente, nel 1974 mio nonno è uscito dalla fabbrica con una buonuscita che in denaro non aveva avuto pari rispetto ai soci precedenti: così da allora la nostra famiglia non ha trovato più pace. I miei genitori sono ripartiti da sotto zero. Dovevano uscire loro dalla CAMA, ci saremmo salvati da un destino atroce, in cui siamo noi figli a pagare, come nei migliori insegnamenti dei libri sacri. 

Così negli anni Novanta, ragionando da operai nella nostra fabbrica, con i primi successi abbiamo alzato i minimi tabellari dei dipendenti, gratificando anche i sacrifici che avevano fatto loro stessi negli anni più difficili. Solo che queste cose non si fanno, perché poi quando succede una crisi, i dipendenti si dimenticano, i sindacati difendono i dipendenti e non il lavoro, di conseguenza succede quel che avviene in un divorzio: comandano i soldi. 

Pertanto poi in un fallimento un'azienda passa dalla parte del torto e non ha scampo. In questo modo si paga anche l'errore di aver peccato di generosità, che nell'ambito imprenditoriale non ha ragione di esistere. In un'azienda si deve pensare solo al proprio interesse e a stare attenti a saldare i dipendenti fino all'ultimo centesimo, senza lasciare che il tfr (trattamento di fine rapporto) diventi una spada di Damocle in tempi di crisi. 


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1 commento:

Anonimo ha detto...

Ho letto il post. Non so che dire. Certo vanno riconosciuti i meriti dei dipendenti, ma purtroppo se in un'impresa non c'è profitto non si va avanti. Almeno in un sistema come il nostro occidentale.