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domenica 5 dicembre 2021

Banditi


Mi sono serviti quasi dieci anni per entrare nel merito del fallimento, che passa per un tribunale fallimentare. Mi si è accesa la lampadina sulla realtà del fallimento, come a un carcerato sotto tortura, quando lo Stato ha permesso che mi si pignorasse il conto corrente e la postepay per meno di 5 euro totali. Nel fallimento dell'azienda della mia famiglia, la Cama Deruta, sentenziato dal tribunale di Perugia nel 2012, io risulto infatti un fidejussore, quindi la mia sorte non è da meno di quella di un fallito. 

Così di conseguenza sono entrata in contatto con delle associazioni di volontariato che vanno in aiuto dei falliti e la Caritas diocesana; ho scoperto poi un mondo al contrario, che gravita intorno ai falliti giudiziari, inclusi i tirapiedi e i becchini, stimati "professionisti" di un'industria molto fiorente in Italia, dove, come ben si sa, nelle disgrazie si insinua la mafia e anche la massoneria, gente taccagna e cattiva, che sfrutta le debolezze altrui per arricchirsi e fare affari. 

Poi mi sono creata una audience di amici e amiche, che leggono i miei post in questo blog. La parola chiave che più mi risuona è: sposare la causa dei falliti e delle fallite in Italia, ovvero mettere in chiaro gli impedimenti attivati dallo Stato per non far ripartire gli imprenditori e le imprenditrici nel loro mestiere. Se sei fallito e vuoi riaprire un'azienda, devi ricorrere a sotterfugi, prestanomi, mosse al limite della legalità perché col fallimento diventi invisibile. 

L'aggettivo "invisibile" è stato usato da Maria Luisa Busi nel suo libro "Brutte notizie - come l'Italia vera è scomparsa dalla tv", edito da Rizzoli nel 2010. Poi successivamente è uscita una pubblicazione dal titolo "Storie di vita invisibili" (2013), ideata da Giuseppina Virgili, imprenditrice toscana fallita finita sulla cronaca e che era arrivata anche in tv da Nicola Porro, aveva ricevuto l'appoggio di certi politici, aveva fondato una sua associazione nazionale, ottenuto un'apertura da parte della Regione Toscana. Poi il nulla. Giuseppina Virgili non è ripartita, i suoi sogni d'impresa in un cassetto a chiusura stagna. Una non vita. 

Perché per fare l'imprenditrice dovrei ricorrere a sotterfugi, prestanomi e altro, quando io la bandita non l'ho mai fatta in vita mia? Perché non esiste una legge dello Stato per cui dopo il fallimento io possa ripartire come libera cittadina dello Stato, in cui il fallimento si ferma al momento in cui fallisci e ti prendono quello che c'era prima? Il fallimento non può essere un "fine pena mai", questa è un'ingiustizia. Non si può distruggere il capitale e insieme anche la persona fisica. Questa è crudeltà, cattiveria, ignominia dettata solo dalla sete di denaro, ben difesa da chi delegittima lo Stato nel difendere i suoi imprenditori caduti il tempo di crisi.  


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Post originali di Roberta Niccacci
Storia di un'azienda artigiana italiana in tempo di crisi
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1 commento:

Anonimo ha detto...

Un'altra cosa che trovo interessante è che tu vuoi che sia consentito di tornare ad intraprendere alle persone che hanno avuto un fallimento. Cosa giustissima, ma sulla quale io, per esempio, non avevo riflettuto