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venerdì 31 dicembre 2021

In balìa della sorte

Una gallina dalle uova d'oro in balìa della sorte: storia del fallimento
giudiziale di una piccola azienda artigiana storica di Deruta (PG)


In un fallimento giudiziale finisci in balìa della sorte. Dovresti interessarti tu di quello che ti succede per il tramite di un legale, che costa un sacco di soldi e che tu non hai. Solitamente, infatti, un artigiano che fallisce, micro o piccolo che sia, si ferma perché non ha più disponibilità economica. 

Lo stesso artigiano non può usufruire del gratuito patrocinio, perché la sua casa all'asta rimane a suo nome finché lo Stato non la regala ad un aggiudicatario tramite le aste giudiziarie. L'Isee è troppo alto, non figuri per lo spiantato che sei. E l'avvocato d'ufficio? Chi è? Come si ottiene? È gratuito? Per muoverti all'interno di un fallimento giudiziale servirebbe una laurea in giurisprudenza con specializzazione in fallimenti, perché nessuno del tribunale ti istruisce su cosa fare e su quali siano le tue tutele. Si comportano come i peggiori burocrati. Tu non sei più autonomo.

Così ora non sappiamo ancora niente dell'esito dell'opposizione alla vendita all'asta della nostra fabbrica a prezzo vile: l'immobile, di 1.530 mq incluso il terreno adibito a piante da frutto e a parcheggio per i dipendenti, finirà nelle mani di una ex concorrente di Deruta per la cifra irrisoria di 118.000 euro. Lei ha già pagato il 10% del prezzo e dovrà depositare il saldo a fine gennaio 2022. Si è anche aggiudicata il nostro campionario. Chissà se lo Stato le permette di riaprire la fabbrica col nostro marchio: CAMA. Chissà. In termini di ingiustizie mi aspetto di tutto. 

Non si sa niente neanche della casa dei miei genitori all'asta per la prima volta quest'anno nel mese di maggio. Che la casa fosse all'asta lo abbiamo saputo da internet. Ci è preso un colpo. Allo stesso modo nessuno ti informa su quando la casa sarà di nuovo all'asta. Si vive nell'incertezza, in balìa delle onde e della sorte. Anche la casa andrà a finire in mano a gente senza scrupoli per 25/30.000 mila euro, 250 mq di abitazione costruita coi sacrifici dai miei genitori, quando ancora erano dipendenti della CAMA. 

Così dal 2008, anno in cui l'Unicredit mise in esecuzione immobiliare il laboratorio, a cui è seguito il fallimento dell'azienda nel marzo 2012, passeranno chissà più di 15+4 anni prima di chiudere la procedura fallimentare: per recuperare quale ammontare, al netto delle competenze? 100.000 euro, che andranno sì o no alla banca? Infatti da una certa cifra, che le aste recuperano tramite la vendita dei beni del fallito, c'è da scorporare un 25/30% per i "professionisti" che macellano la bestia, la gallina dalle uova d'oro, che nel corso della sua storia ha dato lavoro a più di 100 dipendenti e che non voleva morire: la Majoliche Artistiche Cama Deruta snc

Io mi chiedo: perché? Perché un fallimento? Perché infliggere tanta sofferenza per anni e anni alla nostra famiglia per recuperare alla fine 100.000 euro, che avremmo potuto generare con un paio di spedizioni tramite container? 




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mercoledì 29 dicembre 2021

Intelligenza e crudeltà

Charlie Chaplin nel film "Tempi moderni" (1936)

Mentre si avvia a conclusione un altro anno e, come in una catena di montaggio, altre aziende finiranno la loro vita terrena tramite un fallimento giudiziale, una luce si accende sul tema del fallimento grazie ad un articolo uscito sul Corriere della Sera a firma di un filosofo mio coetaneo, classe 1964 come Monica Bellucci, umbra come me, Nicholas Cage, che acquistò i nostri bicchieri a calice della Cama per un party, Russel Crowe, indimenticabile gladiatore e interprete di Noah con l'iconica frase di "I'm not alone".

Il filosofo autore della riflessione sulla relazione tra intelligenza e cattiveria si chiama Luciano Flòridi, in cui nel cognome l'accento cade sulla "O", perché la parola è sdrucciola e non piana come la maggioranza dei vocaboli italiani, dove l'accento si posa sulla penultima sillaba: Niccàcci. Le altre parole italiane possono essere tronche come nel cognome Calà, dove l'accento cade sull'ultima sillaba. Per le parole ci sono quindi tre opzioni: sdrucciola, piana, tronca. 



Invece in un fallimento o sei buono e stupido (il fallito) oppure intelligente e cattivo (il tribunale). Non esiste una terza via. La giustizia sembra giocare il ruolo della parte intelligente della società: se senti parlare giuristi e avvocati, il loro discorso torna alla perfezione, anche un fallimento diventa materia scientifica. Eppure qualcosa sfugge alla gestione della materia "fallimento giudiziale", perchè gli imprenditori che falliscono provano dolore e sono sottoposti a ingiustizie, in primis la privazione della libertà di esercitare in prima persona l'attività di imprenditori, la propria vocazione a coltivare il giardino di cui sono esperti, di ripartire come contribuenti dello Stato il giorno dopo la disgrazia del fallimento. Dei moderni Candide che devono scontare la propria ingenuità nella mani di gente più intelligente ma crudele? 



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sabato 25 dicembre 2021

Fine di un'agonia?


Quando ti viene sentenziato un fallimento giudiziale, nella tua azienda hai già passato almeno cinque/sei anni in sofferenza bancaria: vuol dire che hai difficoltà economiche e le banche non ti fanno più credito. Anzi, nel nostro caso la sofferenza è iniziata nel 2006 e l'anno dopo, nel 2007, un "pool" di quattro banche ha concesso alla nostra fabbrica un finanziamento di credito fondiario

Dell'unione di banche del 2007 non faceva parte l'Unicredit, che nel 2008 ha posto il nostro laboratorio in esecuzione immobiliare a fronte del mutuo contratto nel 1999 e di cui erano rimaste impagate un paio di rate. Qui i conti non tornano: con che criterio le quattro banche hanno concesso altri fondi ad una piccola azienda in agonia? Dov'erano le garanzie? Le banche si assumono le proprie responsabilità per la fine della Cama? 

Nel frattempo, con la crisi inizia la fuoriuscita dei dipendenti, ai quali sborsare il tfr. I collaboratori che rimangono iniziano a vivere le prime frustrazioni dei ritardi nei pagamenti delle mensilità. Allora il datore di lavoro opta per pagare loro il netto in busta e lasciare indietro i contributi statali (che sono soggetti a penale). 

La situazione inizia a peggiorare, non puoi chiudere la fabbrica, perché c'è un indebitamento, non puoi pagare i debiti, perché non hai i soldi. Inizia un turbinio di gran confusione, in cui i dipendenti pensano a recuperare mensilità e tfr, ti mandano l'ufficiale giudiziario per mettere all'asta pezzi di vita della fabbrica. Mentre in tempo di vacche grasse coi dipendenti si pensava di essere una famiglia, poi noi si diventa "i padroni" e loro attaccano "il capitale". 

Quindi, quando poi fallisci in tribunale, ti senti come liberato, pensi che il calvario sia finito. I dipendenti hanno avuto quello che spettava loro, "i diritti", primo tra tutti di distruggere la propria fabbrica. Invece è proprio nel momento del fallimento che inizia la tortura vera e propria nei confronti dei falliti, un carico di ingiustizie personali che io non avevo mai sperimentato prima nella mia vita. Nell'anno che sta per iniziare saranno passati dieci anni dal fallimento della Majoliche Artistiche Cama Deruta snc. Ci dicono che in un fallimento si è come malati terminali, ma questa malattia è peggiore di qualsiasi cancro, perché se prima del fallimento eri attivo e sano di mente, qui nel fallimento rischi la tua salute fisica e mentale, perché sarai privato per sempre della tua libertà e non ci sarà giustizia. 




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venerdì 24 dicembre 2021

Come agnelli sacrificali

Josefa de Óbidos, L'agnello sacrificale, 1670-1684, Walters Art Museum, Baltimore, Usa  


Ho conosciuto un imprenditore del campo della raccolta e confezionamento di erbe e piante selvatiche, che aveva sessanta dipendenti e che ora è rimasto da solo; in questi anni di crisi ha speso tutti i suoi averi per sanare la situazione debitoria dell'azienda ma così è riuscito a non fallire. Ora si ritrova a fare i mercatini al freddo dell'inverno e crede ancora nel potere della passione, "la prima linfa vitale". 

Quando le persone in Italia mi dicono che notano in me passione e entusiasmo, io quasi quasi mi spavento, altre volte mi offendo, perché chi ho davanti mi prende per un "vulcano" allo scopo di contenermi; oppure chi mi giudica non riesce a comprendere che la mia passione è stata per decenni il motore che mi ha permesso di servire centinaia di clienti in tutto il mondo con professionalità e competenza. 

La passione è una caratteristica peculiare degli artigiani, trasmessa tramite i propri prodotti e servizi, lo sventolato Made in Italy che torna comodo a politici e governanti come biglietto da visita del nostro Paese. Tuttavia nelle statistiche dei fallimenti la passione non è contemplata, perché la voce "artigiani" per il Cerved non esiste. Sarebbe invece opportuno creare una voce a parte per artigiani e commercianti, così da rendersi conto di quel che si perde in una crisi in Italia.

Infine, davanti ai poteri forti la passione è come un agnello al macello, poteri che non sono paragonabili a nessun animale vivente, se non a avvoltoi e condor, che si cibano delle carogne di altri animali, quando si voglia ricostruire una figura retorica di sopraffazione del potente sul più debole. Ecco, la passione viene ridotta a debolezza e in una situazione di crisi si viene schiacciati, perché gli artigiani sono divisi tra di loro in nome della propria passione e non vengono tutelati da nessuno: partiti politici, associazioni di categoria, Camere di Commercio e governo in un fallimento spariscono tutti, con in tasca il biglietto da visita del Made in Italy stampato gratuitamente coi sacrifici di qualcun altro. 





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giovedì 23 dicembre 2021

Da petrolio dell'Italia a pezzenti

Hermes, per i romani "Mercurio", è il Dio dei commercianti ma anche
dei ladri - Particolare de "La Primavera" di Botticelli, Uffizi, Firenze  

Nessuno si interessa dell'anti-economicità dei fallimenti delle piccole e micro imprese artigiane, che per decenni hanno fatto la storia del Made in Italy e portato soldi alle casse dello Stato ai fini della ridistribuzione della ricchezza a favore di sanità, scuola e servizi pubblici: quante aziende artigiane sono fallite in questi venti anni di crisi in Italia? Perché tanta indifferenza per chi ha dato lavoro e lustro al territorio grazie alla propria arte? 

Dieci artigiani raccontano la storia di come si sono ritrovati nel girone infernale dei fallimenti in una pubblicazione della Regione Toscana "Storie di vite invisibili" (2013) da un'idea di Giuseppina Virgili, imprenditrice di Empoli, che più di dieci anni fa finì agli onori della cronaca per essersi accampata a Firenze tra il Duomo e la Regione Toscana e per aver tentato di mettere all'asta un rene per non fallire. 

Nel libro mi ha colpito in particolare ciò ha scritto Fabrizio di Castelfiorentino, riguardo al fatto che ad un artigiano fallito viene negato di riprendere a lavorare come libero cittadino. Fabrizio si esprime in questi termini: «Ma a chi giova che qualcuno non possa lavorare e andare avanti con dignità? Si abbia il coraggio di assimilare i falliti ai ladri e li si sbatta nelle patrie galere, anziché fregiare una società dell'aggettivo "civile" o "magnanima" quando il valore della dignità umana è invece di fatto posto di molto sotto al valore dei soldi. Si dia modo di scontare una pena come tutti gli altri farabutti e delinquenti, anziché impedire al fallito di provvedere per sé e per i suoi congiunti»

Chissà che fine avrà fatto Fabrizio di Castelfiorentino? Perché la Regione Toscana non ha dato seguito a questa pubblicazione come nei desiderata espressi in prefazione da Nicola Nascosti, allora Vice Presidente III Commissione Sviluppo Economico del Consiglio Regionale della Toscana? "Far scaturire una riflessione [...] rimettere in carreggiata un Paese", "Promuovere un dibattito costruttivo che porti a cambiare la Toscana e l'Italia". 

Da quanto mi risulta l'incommensurabile impegno di Giuseppina Virgili, fondatrice nel 2012 del Comitato Piccoli Imprenditori Invisibili (Co.P.I.I.), che raccolse subito quasi 900 associati a livello nazionale, è finito in un nulla di fatto. Queste oggi le parole di Giuseppina Virgili: «Smossi tutto ciò che potevo anche a livelli alti, andai anche in parlamento ma fecero solo chiacchiere e tante promesse. Avevo al mio fianco tutto ciò che serviva ma come ti dissi siamo numeri e voti pertanto, essendo una minoranza non interessiamo».

La stampa è corredata dal contributo di sei tecnici (commercialisti, avvocati, bancari, psicologi), che scrivono ciascuno un articolo informativo sulla crisi e sui suoi protagonisti "invisibili", aggettivo utilizzato già da Maria Luisa Busi nel suo libro "Brutte Notizie" (2010), in cui cita la vicenda di Giuseppina Virgili. 

In conclusione, la prefazione alla stampa della Regione Toscana si ferma al concetto di "diritto alla Speranza", cosa inaudita per altri Paesi civili, dove vige il concetto di "Hope is not a plan" (tr. la Speranza non è una soluzione), pertanto considero questa prefazione di circostanza come una vera e propria presa in giro degli artigiani falliti, "che hanno fatto grande l'Italia" ma proprio senza speranza e senza futuro per la mancata azione di difesa efficace, sostanziale e tempestiva da parte delle istituzioni preposte a proteggere artigiani e commercianti dalle ingiustizie del fallimento. Dove sta la via d'uscita? 




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martedì 21 dicembre 2021

Massacrati per quattro spicci


Il governo permette che lo Stato operi per mano delle banche per portare le aziende artigiane al fallimento e poi, alla fine di inauditi procedimenti senza fine, le aste, le banche stesse raccolgano le briciole. Dal 2015 infatti gli immobili all'asta possono spingersi oltre il 50% del valore di stima per effetto della legge 132 detta "Legge Renzi". Come beffa l'anno successivo, sempre il governo Renzi ha decretato la fine della parola "fallimento" con l'edulcorazione del termine in "liquidazione giudiziale". Altro che falliti, dal 2015 veniamo massacrati! 

Siamo stati clienti della Cassa di Risparmio di Perugia dagli inizi della storia della nostra fabbrica artigiana negli anni Sessanta, quando venne costruito il laboratorio situato sulla via Tiberina, all'allora km.77. I miei bisnonni, marito e moglie, firmarono le cambiali fidejussorie per il mutuo a fronte della costruzione dell'edificio. Si giocarono l'unico bene che avevano, la loro abitazione in Via alle barche a Deruta, ma sulla cooperativa avevano già scommesso nell'anno di fondazione, il 1954. 

Successivamente, dagli inizi degli anni Settanta fino al boom degli anni Novanta, la Cama è andata avanti attingendo al fido bancario, perché era ripartita dopo un tracollo dovuto alla fuoriuscita incontrollata dei soci. Nel 1971 mio nonno alla Cama era rimasto con una scatola vuota e i miei genitori ancorati all'azienda, ricominciando nel 1974 da più di sotto zero per una spesa inaudita a liquidazione anche del nonno, oltre a un nuovo mutuo in corso d'opera per la sopraelevazione. 

Quindi negli anni Novanta, prima del benessere sopravvenuto e di una relativa tranquillità, siamo rimasti dipendenti delle banche e nel momento peggiore, nel 1999 alla vigilia della crisi, abbiamo contratto il mutuo che ci ha sotterrato. La banca, allora già Unicredit, nel 2008 ha proceduto all'esecuzione immobiliare del laboratorio di Via Tiberina, all'asta dal 2013 e ora, dopo 16 esperimenti, il tribunale ha spacciato l'immobile svalutato dell'80% a una ex concorrente di Deruta.

Come dice il mio babbo, la banca con la Cama ha realizzato più soldi in interessi passivi che tramite la vendita all'asta della nostra fabbrica. Siamo stati massacrati per una cifra che per una banca sono spiccioli, un insulto per il valore dell'immobile; non paghi di ciò, io e mio fratello siamo anche attaccati per via extra-giudiziale, nella veste di fidejussori del mutuo bancario, perché nel frattempo la banca ha ceduto il credito ai cartolarizzanti. Questa non è giustizia. Noi il laboratorio lo abbiamo impegnato per il suo valore per intero e non dobbiamo niente alla banca e tanto meno ai cartolarizzanti. 




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venerdì 17 dicembre 2021

Perché i falliti giudiziali non interessano a nessuno?


Non so tra quanti anni si concluderà il fallimento della nostra fabbrica sentenziato ufficialmente dal tribunale nel mese di marzo 2012. Forse nel frattempo i miei genitori saranno morti e io li avrò fatti seppellire in due fosse per terra a carico del comune di Deruta. I miei genitori sono già avvertiti della sorte che toccherà loro "post-mortem", per usare un latinismo dei "brocardi", che tanto piacciono alle basse e alte sfere della giurisprudenza e del diritto. 

Intanto ora il nostro laboratorio artigiano se l'è aggiudicato una ex concorrente di Deruta all'80% del suo valore stimato; a fine gennaio 2022 la banca raccoglierà dall'acquirente 118.000 euro a distanza di quattordici anni dall'esecuzione immobiliare della fabbrica. Di questi 118.000 euro, il 25-30% andrà per prelazione ai "professionisti", che hanno eseguito la macellazione dell'azienda per conto del tribunale. 

Per continuare, dei 118.000 euro della vendita all'asta della fabbrica rimangono quindi a disposizione della banca creditrice solo circa 80.000 euro, che divisi per 14 anni sono intorno ai 6.000 euro all'anno. Non avrebbe fatto meglio la banca a lasciarci il laboratorio e a trovare una soluzione alternativa per non uccidere la gallina dalla uova d'oro, la nostra azienda, che ha sempre prodotto per la banca profumati interessi passivi

Infine, quanto ha speso lo Stato per la procedura fallimentare della Majoliche Artistiche Cama Deruta dal 2008 a oggi, considerando anche l'esecuzione immobiliare? E poi non è finita qui. Quanto spende lo Stato per la macchina distruttiva di annientamento delle aziende per conto dei creditori? Al contrario, quanto guadagna lo Stato dal fallimento delle aziende artigiane? 

Quindi, se i falliti non interessano niente a nessuno (governo, partiti politici, comuni, regioni, associazioni di categoria, gente comune), un minimo di sensibilità dovrebbe nascere riguardo all'economia dei fallimenti, quando si toccano le tasche degli italiani, di quanto convenga di conseguenza allo Stato fare da tesoriere a banche, malaffare e speculatori. Quanto fruttiamo in poche parole alla fiorente industria dei fallimenti e qual è il costo sostenuto dallo Stato? 

Nel frattempo i miei genitori sono in attesa di sapere cosa ne sarà della loro prima casa, dove abitiamo, finita all'asta nel maggio scorso: ci toglieranno anche l'abitazione, per regalarla a qualcuno che pensa di farci un affare. I potenziali affaristi devono tenere conto però che è una casa degli anni Sessanta, dove ci sarebbero da fare molti lavori. Di conseguenza mi sto organizzando coi genitori per portarli in casa di riposo, sempre che gli istituti accettino di essere pagati con una buona pensione da artigiani, così da farci trovare preparati all'uscita di casa




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giovedì 16 dicembre 2021

Un'ingiustizia di Stato

Doppio attacco delle banche per un credito: un'ingiustizia di Stato

Sono passati dieci anni dal fallimento della nostra azienda artigiana e il procedimento non si è ancora concluso. Dalle vendite all'asta i creditori hanno raccolto le briciole e noi della famiglia, padre, madre, figlia e figlio viviamo dal 2011 una vita bloccata, in cui non sappiamo cosa ci succederà. Ci dicono di usufruire dell'esdebitamento, ovvero della cancellazione del debito a carico dei nostri genitori falliti, ma questa richiesta si può fare solo se il fallimento è chiuso. A cosa serve poi un esdebitamento per i genitori alla loro età? 

E noi figli? Noi figli, ex soci dell'azienda, risultiamo fidejussori del mutuo contratto nel 1999 con la banca, quindi veniamo attaccati per via extra-giudiziale. La ragione per cui mi sono svegliata dal torpore del fallimento della fabbrica è stato proprio quando i cartolarizzanti, nel mese di novembre 2020, mi hanno pignorato il conto corrente e la Postepay per meno di 5 euro. Da allora mi sono ribellata a ciò che ci stava succedendo nel fallimento, non sono più stata la brava bambina ubbidiente dello Stato. Non ci credo più. 

Nel frattempo i nostri genitori sono diventati ultraottantenni e io vivo sotto il minimo di povertà, perché non posso permettere che nel mio conto corrente entrino solo 20 euro. Anche con una somma minima infatti, rischi di venire iscritta a ruolo; ci sono stati dei casi del genere e vieni agganciata dai cartolarizzanti per il resto della tua vita: ti prendono quello che si trova nel conto corrente e il quinto dello stipendio per sempre. 

Preferisco quindi vivere delle lezioni d'inglese e piccole consulenze, farmi pagare in contanti, fatturare tutto per dimostrare di cosa vivo, stare a casa dei genitori finché l'immobile non viene venduto all'asta per non crearmi spese. Quindi ho annullato la Postepay, con cui compravo sporadicamente i libri online, e ho deciso di chiudere il conto corrente, di cui sono dispiaciuta, perché è un conto corrente online e all'anno non pago niente. Rispetto a mio fratello, che ha una famiglia, io sono fortunata. 

In conclusione, penso che sia un'ingiustizia essere attaccati da due parti come famiglia debitrice: nel 2008 la banca si è presa il laboratorio artigiano e lo ha fatto svendere tramite le aste: aggiudicato all'80% del suo valore lo scorso ottobre 2021 dopo 16 tentativi. Noi però avevamo impegnato il laboratorio per il suo valore per intero; poi la medesima banca, a fronte dello stesso mutuo bancario, vende il credito a un cartolarizzante e tramite loro perseguita noi figli per via extra-giudiziale. Trovo che questo doppio attacco non sia giusto, perché il credito era uno e, se prendi il bene che avevo impegnato col mutuo, non puoi contemporaneamente chiedermi anche il credito che vantavi a fronte dello stesso mutuo. Noi siamo una sola famiglia, voi eravate una sola banca e ora voi siete due contro uno dentro e fuori dei tribunali. 




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mercoledì 15 dicembre 2021

I burocrati, un mondo al contrario

Il trionfo della morte, Bartolo di Fredi (1360 ca.), particolare, Chiesa di
San Francesco, Lucignano (AR) 

È curioso ascoltare come viene trattata la materia dei fallimenti dall'altra parte della barricata, ovvero da chi ci lavora: avvocati, notai, commercialisti, ovvero gli ausiliari dei giudici fallimentari. Se ti capita di fallire, serve di arrivarci preparato, studiarti come e cosa fare con gli strumenti a tua disposizione, in quanto sembra che i delegati alla vendita stiano lì per aiutare anche te, fallito, perché operano in nome della giustizia. 

A me quanto dicono loro non risulta affatto. Noi abbiamo contattato per la prima volta il delegato alla vendita del nostro laboratorio artigiano per sapere chi se lo fosse aggiudicato nel mese di ottobre scorso e ci ha detto di fornirci di un avvocato, così da accedere agli atti. Nessuno ci ha mai messo a disposizione un canale di comunicazione col tribunale o inviato istruzioni. Vedevamo sporadicamente il curatore fallimentare, che passava a casa per sbrigare delle pratiche.

Quindi? Rapportarsi agli ausiliari e ai giudici di un tribunale è come riferirsi alla pubblica amministrazione, ovvero ai burocrati. D'altra parte sono burocrati di lusso: devi essere tu a contattarli e per fare da tramite col non-plus-ultra della burocrazia serve un legale. Non esiste quindi cura verso i falliti, che si sono anche suicidati, quasi 1.000 persone attestate dal 2012 al 2018 secondo l'Osservatorio della Link Campus University, ma che per le statistiche Istat passano da depressi. 

Così è rimasta in anagrafe sanitaria mia madre, che ha tentato il suicidio, ma depressa non è mai stata in vita sua e fa parte dei restanti 717 italiani, che hanno tentato il gesto estremo. Aveva solo visto sfumare il lavoro di una vita per una crisi planetaria, in cui nel 1999 le banche continuavano a erogare mutui senza garanzie, anno di approvazione delle cartolarizzazioni bancarie da parte dello Stato.   


Le statistiche Istat sui suicidi si sono fermate al 2017




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