Sono presa dalla lettura del libro di Goliarda Sapienza, pubblicato per la prima volta nel 1983, quando Goliarda aveva 59 anni col titolo "L'università di Rebibbia". Sto leggendo le prime pagine del libro e mi sento totalmente coinvolta dalla piacevole scrittura, disturbata solo dagli accenti sulla U e sulla I che sono acuti anziché gravi: refusi. Eppure è un'edizione della Einaudi!
Quando Goliarda si ritrova per la prima volta in carcere a Rebibbia, descrive le finestre "a bocca di lupo" della cella. Non riesco a non pensare ai fiori preferiti della mia mamma, che da noi si chiamano appunto "bocche di lupo", in verità "bocche di leone" e scientificamente chiamate "Antirrhinum majus". È un ricordo della mia infanzia e così ora vado a vedere, sia in terrazzo che nel giardino davanti a casa, se di bocche di lupo ce ne sono ancora.
Da quando nel novembre scorso, come conseguenza del fallimento dell'azienda della mia famiglia, il tribunale di Perugia, per conto delle aziende di cartolarizzazione dei crediti delle banche, mi ha pignorato conto corrente e Postepay per meno di 5 euro, si è scatenato in me un moto di ribellione. Il mio stato di insofferenza è stato alimentato dalla percezione di non libertà, acceso come una miccia nel momento in cui è andata all'asta la casa dei miei genitori, che hanno costruito quando della nostra azienda erano dipendenti. Mi sono accorta dell'asta da una ricerca online il giorno di Pasqua.
Nel frattempo ho terminato la lettura del libro di Goliarda Sapienza e ci ho trovato molti punti in comune con la storia di fallimento della mia famiglia. Anche il carcere è un'industria come l'industria dei fallimenti; anche in una storia di fallimento serve di "non pensare mai al futuro in questo posto, [...] qui le chiavi le hanno inequivocabilmente gli altri"; "non irritare mai i superiori"; anche in una storia di fallimento ci sono i secondini, che nel 1980 si sarebbero chiamati "guardiani", sempre per il nostro modo italiano di riformare le leggi con dei maquillage. In una storia di fallimento ti incontri magari con un curatore fallimentare, originariamente commercialista, che in tempi di crisi non lavora per le aziende ma contro le aziende, contribuendo alla loro distruzione: un burocrate degradato a secondino.
Infine in una storia di fallimento come in una storia di carcere, il limite tra mancanza di libertà e follia è molto sottile. Penso quindi a Roberto Ferracci, imprenditore umbro di Spello, rimasto anche lui vittima del mutuo contratto con l'Unicredit; in un impeto di ribellione quattro anni fa ha preso un coltellaccio ed è andato dalla giudice del suo caso su per le scale del tribunale di Perugia. Si è beccato 12 anni di galera a Capanne per tentato omicidio. Il sistema gli ha voluto dare una condanna esemplare. Al tribunale di Perugia non sono riusciti a incastrare Amanda Knox, o non hanno voluto, ma hanno saputo mettere in croce un povero disgraziato, attaccandosi pure la coccarda sulla giacca. Complimenti vivissimi.
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Post originali di Roberta Niccacci
Curiosità rinascimentali in tempo di rinascita
Roberta Niccacci è laureata in lingue e letterature straniere moderne all'Università degli Studi di Perugia. Parla correntemente inglese, francese e tedesco. È…una pioniera Erasmus e ha condotto gli studi per la sua tesi di laurea alla Sorbonne Nouvelle Paris III. Originaria di Deruta (PG), ha prestato la sua formazione umanistica a servizio della clientela dell’azienda artigiana di famiglia, che ha chiuso i battenti nel 2011. Da allora ha portato avanti studi a valorizzazione del territorio per nuovi modi di fare impresa nell’artigianato artistico, partendo da arte e cultura. Il suo grande sogno è di fondare un'azienda che trasformi in realtà la sua esperienza di questi anni. Dal dicembre 2020 è un’imprenditrice in ripartenza presso la Onlus “100mila ripartenze” con sede a Treviso. Talenti: Activator, Adaptability, Communication, Context, Futuristic.
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