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giovedì 15 luglio 2021

Antieconomico


"La cultura deve colpire il cuore e soprattutto illuminare la mente" recita la recente pubblicità della RAI. Il concetto è esatto e coglie nel segno riguardo alla funzione della cultura, degli studi classici e delle materie umanistiche. Quest'illuminazione non avviene tuttavia negli ambienti delle sezioni fallimentari dei tribunali, dove l'oscurantismo sembra aver incatenato le menti di chi sta agli apici di mattatoi senza regole. I pubblici ufficiali diventano freddi e cinici, alienati dal lavoro di burocrati. Si dimenticano degli studi classici, di ogni umanità e anche del buon senso.

Col benestare dello Stato, per anni e anni drappelli di "professionisti" mettono in svendita beni d'affetto, spazi e strumenti da lavoro, prime case di persone oneste, per favorire gente senza scrupoli, agenzie immobiliari, organizzazioni criminali: piccoli artigiani come la nostra famiglia vengono distrutti per un gioco al massacro che va ad oliare un ingranaggio di distruzione dell'impresa italiana per creare un mercato parallelo. Funziona come la peggiore delle malattie: il cancro.

Prendiamo ad esempio la nostra azienda: in quasi dieci anni di tortura da fallimento della nostra famiglia, quanto ha incassato il tribunale dalla svendita degli strumenti da lavoro della fabbrica, se tutto il campionario e i semilavorati sono partiti per poche centinaia di euro (comprati da un ex concorrenti di Deruta), i forni sono stati svenduti e così anche tutte le scaffalature e i macchinari? A cosa serve il processo di fallimento se non a far lavorare (malamente) i "professionisti" assunti dal tribunale e tutto ciò che consegue da un mercato che ha i caratteri dell'illegalità per concorrenza sleale, anti-dumping e mortificazione del mercato legale?

Quello che più mi addolora è che i commercialisti siano capaci di lavorare per le sezioni fallimentari dei tribunali e quindi contro le aziende che prima davano loro lavoro. Ora quei commercialisti si trovano dall'altra parte, coi tribunali, per distruggere quelle stesse aziende di cui erano fornitori. L'antieconomicità di quanto stanno facendo non viene loro in mente, pur sapendo fare di conto? Anzi gli stessi si trasformano in commercianti da strapazzo, dando un prezzo alle cose che svendono, non riconoscendo neanche il valore del prodotto artistico.


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Post originali di Roberta Niccacci
Storia di un'azienda artigiana italiana in tempo di crisi
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1 commento:

Roberta Niccacci ha detto...

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"Un post che colpisce, come i precedenti, perché racconta i fallimenti da un punto di vista nuovo (almeno per me) e che merita di essere portato all'attenzione delle persone."