Allo stesso modo lo Stato non dovrebbe tollerare questioni legate al denaro, tradotte in fallimenti, perché è materia altrettanto scabrosa, in quanto il fallimento può generare profitto da parte di speculatori, approfittatori, gente comune che ha dimestichezza con il fare affari sulle disgrazie altrui. D'altra parte, la mafia italiana stessa non è nata per fare profitto sulle sciagure di intere comunità a seguito di calamità naturali, crisi e carestie? Vogliamo imitare la mafia? In tutti e due gli ambiti delle case chiuse e dei fallimenti si parla di morte: c'è qualcuno che viene sfruttato, annientato e privato della libertà per il beneficio altrui a basso costo, talvolta pari a zero verso chi presta la materia prima.
Mi sembra che il tema etico, in ambiti relativi alla sopraffazione degli uni sugli altri, sia lo stesso dei manicomi, aboliti nel 1978 con la legge Basaglia, come pure degli istituti psichiatrici giudiziari, soppressi nel 2015 per intervento dell'allora senatore Ignazio Marino. Le chiusure hanno a che fare con le conseguenze che tali istituti arrecavano alle persone ricoverate o detenute, oggetto di abusi e maltrattamenti contrari alla riabilitazione. Lì ci guadagnava solo chi ci lavorava. Come si riabilita quindi un fallito in Italia? Qual è il riscontro economico derivante della distruzione di aziende e persone attraverso il quale anche piccoli imprenditori artigiani devono passare per tempi interminabili? Per ottenere cosa da un fallimento, se non l'arricchimento di chi ruota intorno alle aste giudiziarie e all'industria dei fallimenti?
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