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sabato 31 luglio 2021

Cavallo di Troia

 

Giandomenico Tiepolo, La processione del cavallo di Troia, 1760 circa,
National Gallery, Londra

"Per cambiare un sistema ci devi entrare dentro, perché altrimenti si diventa come i cani al di là dei cancelli che abbaiano": la frase di un imprenditore, che sta lottando per non fallire, mi è rimasta in mente da qualche giorno. Si riferiva al fatto che scrivo i post sulla mia esperienza di fallimento. Secondo lui, per farmi sentire, quindi per entrare in contatto con chi sta al comando, serve un cavallo di Troia. Solo così potremmo smuovere i burocrati, ovvero coloro che si trovano alla base e in cima al processo di distruzione di imprese e famiglie in tempo di crisi, quella che chiamano giustizia. 

Secondo me i tribunali non dovrebbero trattare la materia della giustizia, quando c'è di mezzo il denaro: per prima cosa non è una questione etica quella di giudicare le imprese, se queste si indebitano, perché c'è di mezzo una disgrazia; per seconda cosa nei tribunali non sono capaci a fare i venditori. Svendere e regalare beni di affetto e aziende artigiane, togliendoli dagli uni per darli ad altri, produce solo un danno economico allo Stato, causando dolore nelle persone che vengono alienate di prime case e di spazi lavorativi costruiti col sudore. 

Io nutro il più grande disprezzo per i burocrati, perché per me sono persone amorfe. Non c'è arte in ciò che fanno. Con l'esperienza del fallimento ora esistono per me due categorie di burocrati: 1. burocrati servili (svolgono lavori d'ufficio, spesso sono arrivati a posti che dovrebbero occupare altri, ma invece ci stanno loro fino alla pensione. Ci rientrano ora gli ausiliari dei giudici) 2. burocrati di lusso: giudici e governanti. La caratteristica comune dei burocrati è la noncuranza, meglio conosciuta come "menefreghismo", specchio del resto di noi italiani, perché l'insensibilità deve essere rimasta nei geni della maggioranza nel corso dei secoli, forse generata da concorrenza sleale e mancanza di spirito di comunità. 

Non c'è peggior cosa che avere a che fare con questi privilegiati, che hanno fatto propria la cosa pubblica e giocano con la vita delle persone finite in rovina. Per infrangere situazioni ataviche non basta quindi un cavallo di Troia, perché esiste il detto che "il cavallo di montagna scaccia il cavallo di stalla". Il cavallo di Troia è troppo raffinato per combattere i burocrati. Qual è quindi la soluzione? Subire il destino? Aspettare che si chiuda il fallimento? Abbassare la testa? La "disattenzione", che sta per "ignoranza", come mi insegnano le persone istruite, non può averla vinta. 


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Storia di un'azienda artigiana italiana in tempo di crisi
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1 commento:

Anonimo ha detto...

Cara Roberta, mi rattrista tanto quello che leggo. Sarebbe un traguardo portare le persone a riflettere sui fallimenti dal punto di vista dei tuoi post.