La nostra casa in via alle barche, 23 a Deruta (PG) ha sempre accolto i gatti randagi |
Blog fondato nel 2009 per documentare l'illusorio viaggio di rinascita della CAMA, azienda artigiana storica di Deruta (PG). Con gli esiti del fallimento che dura da 10 anni e l'unico sostegno di arte e cultura. Dal mese di gennaio 2021 il blog parla italiano.
La nostra casa in via alle barche, 23 a Deruta (PG) ha sempre accolto i gatti randagi |
Nel perverso sistema della giustizia nella sezione fallimentare dei tribunali può succedere anche che un kapo venga sottoposto a processo penale per non aver svolto efficacemente la sua funzione di boia.
I kapo ricoprono infatti il compito di annientamento definitivo delle aziende fallite, trasformate in baracche vuote: sono i curatori fallimentari. Se mai avvenga che si individui una qualche cospirazione di un kapo e lo si possa collegare ad un evento, in cui ad esempio ad un'asta, un'azienda collegata all'azienda fallita, si permetta di ricomprare qualcosa che era suo, allora per quel kapo scattano anche le disposizioni penali. Invece nel caso in cui un ex-concorrente di Deruta, del mio paese, ricompri la campionatura della nostra fabbrica più tutti i semilavorati per una cifra irrisoria, allora questo va benissimo, perché lo sfregio è compiuto.
Primo Levi definì lo spazio dei kapo nei lager nazisti come la "zona grigia" e "grigio" è anche il colore che associo alla giustizia, nel caso di errori commessi dai sottoposti dello Stato in fatto di denaro, quindi la sezione fallimentare diventa "zona grigia".
Per tornare al caso del kapo che mi interessa, ora mi organizzo per prestarmi come parte civile della difesa nel processo penale al kapo incriminato, per raccontare appunto la storia del campionario della nostra azienda. Guarda caso, alla sezione fallimentare fanno fuori i kapo buoni (esiste già il caso di un Oberkapo!), perché per stare lì devi essere senza convinzioni e senza moralità, altrimenti non ti presteresti a fare quel lavoro di distruzione di imprese e persone, per di più in tempo di crisi, in cui solitamente nella trappola cadono anche i migliori.
Siccome la legge fallimentare risale a un regio decreto del 1942, per l'ambientazione della vicenda della mia famiglia la mia mente risale a quel tempo o giù di lì. Mi vogliano scusare gli amici e le amiche ebree per l'immeritato paragone della situazione di un fallito con uno sterminio di massa, atroce e innominabile, ma l'arretratezza, la subordinazione di persone, l'annientamento sociale dei falliti mi fanno pensare a voi. Noi falliti non stiamo subendo neanche una minima parte di quel che avete sopportato voi. A noi tocca solo il destino di sparire dalla vita civile mentre siamo ancora vivi attraverso un inutile percorso di devastazione dei nostri beni. La nostra vicenda è per noi già raccapricciante così. Eppure...la vostra gente è stata sterminata in nome del denaro e così ritorna prepotentemente anche questa parola chiave che ci accomuna.
Quando ti trovi ad essere un faldone nella sezione fallimentare di un tribunale, vorresti che neanche l'aria lo sapesse. Ti vergogni di ciò che ti è accaduto, non vuoi essere giudicato da compaesani, parenti o conoscenti. Eppure arriva un momento in cui, sia per il tempo trascorso dall'inizio del procedimento che per ciò che ti succede, senti il bisogno di raccontare la tua storia di fallimento.
Le reazioni delle persone sono le più disparate, anche perché esiste il timore da parte degli altri che tu vada per chiedere loro un aiuto economico, visto che sei finito sul lastrico. Tuttavia niente di tutto ciò è vero per la mia famiglia: siamo stati derubati della nostra vita e ridotti a dei senza volto, ma non chiediamo aiuti economici.
Un avvocato amico, che ho incontrato per strada, mi ha detto ad esempio di non prendermela, altre persone ci dicono che hanno fallito in tanti, altri ancora mi hanno detto che quel che conta è la salute, ma con queste esperienze massacranti la salute la perdi! Chi non è passato per la sezione fallimentare non può immaginarsi quel che ti può capitare un bel giorno nella vita; uno scherzo del destino, in cui per sfregio dei burocrati si divertono con la tua vita, ti prendono tutto per regalarlo ad altri.
La persona che mi ha più commosso, per cui mi sono resa conto della gravità della situazione in cui verso, è un padre che ha perso un figlio, dedito all'arte e molto sensibile. Allora ho pensato che il figlio si fosse suicidato, un danno gravissimo e un vuoto incommensurabile. La mia situazione di fallimento ha evocato quindi un dolore più profondo subito da chi leggeva la mia storia. C'è un paragone possibile infatti tra malattia, morte e fallimento. Tanto è vero che si dice che il ruolo di un avvocato difensore in una causa di fallimento sia come un medico che assiste un malato terminale. I fallimenti sono esperienze devastanti e non capisco bene se il Governo sia al corrente di questa realtà o abbia altro a cui pensare.
Quindi mi chiedo: che cosa intendono al Governo per riforma della Giustizia al fine dell'ottenimento del Recovery Fund? Hanno intenzione di assumere 16.500 avvocati per inasprire le pene dei sudditi falliti, che un tempo portavano contributi pregiati alle casse dello Stato oppure cos'altro? Alla Giustizia, tramite l'ingigantimento del numero dei burocrati di lusso, vogliono forse potenziare la macchina distruttiva dello Stato?
"Colpevole d'innocenza" (Double Jeopardy) è un film del 1999 con Ashley Judd, che finisce in carcere per aver ucciso il marito, ma in effetti si tratta di una trappola tesa dal coniuge stesso. La protagonista scopre l'inganno e in carcere si rimette in forma, facendo palestra. Quest'esempio mi era rimasto impresso dai tempi del film, che dovrei aver visto un paio di volte.
Il 1999 è anche l'anno in cui nella nostra azienda, la CAMA DERUTA, abbiamo contratto il mutuo ipotecario con l'Unicredit per l'ampliamento del laboratorio artigiano, che ci ha portato al fallimento della fabbrica di majoliche. Un anno maledetto, in prossimità del cambio lira-euro (2000), della caduta delle Due Torri (2001), che avrebbero arrecato il crollo del fatturato e la conseguente fuoriuscita dei dipendenti, con il colpo di grazia della crisi del 2008, fino all'istanza di fallimento nel dicembre 2011 ad opera di due rappresentanti degli operai rimasti.
Sempre nel 1999 l'Europa aveva aperto dei bandi per le ristrutturazioni dei laboratori, il Comune di Deruta spingeva per mettere a posto il retro della fabbrica risalente al 1960; le cose sembravano andare a gonfie vele ma era una ricchezza drogata...le banche sapevano della crisi incombente e loro si erano attrezzate per una via d'uscita: le CARTOLARIZZAZIONI dei crediti. Noi piccole aziende ci abbiamo rimesso la pelle, le banche si sono salvate con l'appoggio del Governo.
Così dieci anni fa è iniziato un lento cammino verso la spoliazione della nostra fabbrica, sventrata di tutti gli strumenti da lavoro e di quanto in essa contenuto, dati via a regalo dalle aste giudiziarie, percorso scandito dalla morte civile dei componenti della mia famiglia, privati anche della prima casa. Il tribunale è venuto a frugare anche qui in casa nostra. I conti correnti di noi figli pignorati e bloccati. Noi siamo quelli che ne fanno maggiormente le spese, attaccati su due fronti, anche dai cartolarizzatori.
Per tornare al film, l'esperienza di fallimento è paragonabile anche ad un'esperienza di carcerazione, perché viene limitata la tua libertà di cittadino contribuente. Di conseguenza mi sono ritrovata per la prima volta a leggere libri scritti da carcerati, in particolare finiti in galera per furto, quindi dove c'è di mezzo il denaro. Proprio perché mi sento in carcere, utilizzo questo tempo per andare alla palestra del carcere in cui vivo: ieri ho iniziato come Ashley Judd a prendermi cura del mio corpo, sono andata a camminare con una mia cugina vicina di casa. Per il momento camminare è ciò che mi posso permettere. Correre non mi piace. Preferirei la palestra o il nuoto.
Sono contenta che esistano dei modelli nel cinema da cui trarre esempio e questo di "Colpevole d'innocenza" mi sembra preciso. Per fare una guerra serve infatti un fisico atletico, da vera guerriera. Il mio scopo è di impegnarmi infatti per contribuire ad abbattere le barriere del fallimento e lottare perché la distruzione di imprese e persone venga cancellata per sempre.
Il campionario di 40 anni di storia della CAMA DERUTA, centinaia di pezzi insieme ai semilavorati sono stati svenduti all'asta dal tribunale di Perugia a 400 euro. Si potrebbe trattare di anti-dumping? Come può il tribunale essere autorizzato a distruggere un'azienda per regalare strumenti da lavoro e campionature a ex-concorrenti di uno stesso luogo e a speculatori senza scrupoli?
40 anni equivalgono quindi a 10 euro all'anno: il nostro lavoro di creazione dei prodotti stimato come un escreato, in segno di sfregio della nostra azienda, per il suo contributo al territorio e all'Italia. Ad acquistare il campionario sono state ex-concorrenti di Deruta, alle quali ho tolto subito l'amicizia su facebook. Sono loro a meritare un escreato in faccia, poiché si sono dimostrate per quel che sono: taccagne, miserabili e vigliacche nonostante siano fradicie di soldi e tengano a capi e accessorii firmati. Hanno fatto un affare sulla pelle di compaesani disgraziati!
Chi ha venduto e comprato il nostro campionario della CAMA sono dei CESSI immeritatamente coperti d'oro |
Oppure ripenso anche ai pezzi monocottura; oggetti di biscotto, immersi nel bitume marrone-nero e poi in una soluzione lucidante. Dopo cena tornavamo alla fabbrica con la mamma a lavorare e io in sua compagnia. Lì ci aspettava la zia Jolanda, la sorella della mamma, che era venuta a lavorare alla CAMA e che è morta qualche giorno fa.
Entravamo dalla porta sul retro della fabbrica per andare nella stanza dei forni. Accendevamo una luce fioca. Lì c'era il bitume. Gli oggetti poi, di piccolo pezzo, solitamente bomboniere, si mettevano ad asciugare. Il percorso verso la riconquista della qualità della CAMA, che poi abbiamo conosciuto a partire dagli anni Ottanta, sarebbe stato lungo, ma quei pezzi di campionario avevano per noi ognuno indistintamente un significato particolare: erano oggetti d'affetto. Ora alla CAMA abbiamo perso di nuovo tutto come nel 1971, ma da dieci anni in maniera atroce tramite il fallimento. Non so se, come allora, questa volta ce la faremo a ricominciare.
Sono presa dalla lettura del libro di Goliarda Sapienza, pubblicato per la prima volta nel 1983, quando Goliarda aveva 59 anni col titolo "L'università di Rebibbia". Sto leggendo le prime pagine del libro e mi sento totalmente coinvolta dalla piacevole scrittura, disturbata solo dagli accenti sulla U e sulla I che sono acuti anziché gravi: refusi. Eppure è un'edizione della Einaudi!
Nel frattempo ho terminato la lettura del libro di Goliarda Sapienza e ci ho trovato molti punti in comune con la storia di fallimento della mia famiglia. Anche il carcere è un'industria come l'industria dei fallimenti; anche in una storia di fallimento serve di "non pensare mai al futuro in questo posto, [...] qui le chiavi le hanno inequivocabilmente gli altri"; "non irritare mai i superiori"; anche in una storia di fallimento ci sono i secondini, che nel 1980 si sarebbero chiamati "guardiani", sempre per il nostro modo italiano di riformare le leggi con dei maquillage. In una storia di fallimento ti incontri magari con un curatore fallimentare, originariamente commercialista, che in tempi di crisi non lavora per le aziende ma contro le aziende, contribuendo alla loro distruzione: un burocrate degradato a secondino.
Infine in una storia di fallimento come in una storia di carcere, il limite tra mancanza di libertà e follia è molto sottile. Penso quindi a Roberto Ferracci, imprenditore umbro di Spello, rimasto anche lui vittima del mutuo contratto con l'Unicredit; in un impeto di ribellione quattro anni fa ha preso un coltellaccio ed è andato dalla giudice del suo caso su per le scale del tribunale di Perugia. Si è beccato 12 anni di galera a Capanne per tentato omicidio. Il sistema gli ha voluto dare una condanna esemplare. Al tribunale di Perugia non sono riusciti a incastrare Amanda Knox, o non hanno voluto, ma hanno saputo mettere in croce un povero disgraziato, attaccandosi pure la coccarda sulla giacca. Complimenti vivissimi.
Edizione speciale in occasione della Festa di Santa Rita da Cascia --- 22 maggio 2021
Sono devota di Santa Rita da Cascia, la santa degli impossibili, una santa umbra conosciuta nel mondo. Cascia dista solo circa un'ora e mezza da Deruta, il mio paese. Oggi con la mia mamma avremmo deciso di andare in pellegrinaggio a Cascia. Andremmo a pregare e a ringraziare tutti gli amici e le amiche, che ci sono accanto in questa nostra tragedia, in cui per il tramite del denaro siamo lesi da dieci anni nella nostra libertà: la nostra famiglia, un faldone della Sezione Fallimentare del Tribunale di Perugia.
In queste settimane mi sono dedicata alla scelta di alcuni libri in particolare. Mi sono sempre chiesta come si facesse a scegliere dei libri da leggere. Doveva esistere un metodo che desse un senso anche a questa mia azione. Per selezionare i libri, mi affido da circa un anno alla comunicazione con le persone a me vicine. Così i libri diventano parte della mia vita. Ecco i libri attualmente sul mio tavolo:
1. "L'università di Rebibbia" di Goliarda Sapienza, Einaudi, 2012
Ho scelto questo libro leggendo il saggio di Rosa Rodriguez dal titolo "Alla Ricerca del Canto Perduto", in cui si cita il tenore Nicola Stame, incarcerato al Regina Coeli, nel testo erroneamente scritto come Rebibbia. Sono andata a cercare artisti incarcerati a Rebibbia e ho scoperto così Goliarda Sapienza, attrice e scrittrice. Ho ordinato il libro alla mia libreria preferita e sono andata a ritirarlo ieri;
2. "Alla Ricerca del Canto Perduto" di Rosa Rodriguez, Bertoni Editore, 2021
Un breve saggio sulla tecnica canora del famoso cantante lirico e insegnante di canto Antonio Cotogni, ovvero sulla Scuola Romana di Canto, di cui Rosa Rodriguez ne custodisce la memoria. Ho conosciuto Rosa Rodriguez in occasione delle ricerche per il mio saggio sul cantante lirico umbro Berardo Berardi, che fu tra i migliori allievi di Antonio Cotogni. Sono legata ad Antonio Cotogni anche per il fatto che egli era figlio di un majolicaro;
3. "Il pane perduto" di Edith Bruck, La nave di Teseo, 2021
Il contatto con Edith Steinschreiber Bruck mi è stato consigliato dal mio amico italo-americano Tony Brunette e così per conoscere meglio la signora Steinschreiber Bruck ho acquistato il suo ultimo libro, candidato al LXXV Premio Strega;
4. "Il Sistema" di Alessandro Sallusti, Rizzoli, 2021
Intervista di Alessandro Sallusti a Luca Palamara. Mi piace molto vedere scritto che nel sistema, "cane non mangia cane" (pag. 206). Libro scelto per ovvie ragioni. Se fossi stata io a scrivere il libro, sarei stata ancora più chiara. Le cose vanno spiegate a prova di tonto.
Infatti in termini di chiarezza, a cui sono abituata, sto leggendo la tesi di laurea magistrale in giurisprudenza di Pietro Cavallotti dal titolo "GLI ECCESSI APPLICATIVI DELLE MISURE DI “PREVENZIONE ANTIMAFIA - Uno sguardo alla prassi e proposte di riforma". Pietro Cavallotti e la sua famiglia sono vittime innocenti del girone infernale della Sezione Misure di Prevenzione, equiparabile alla Sezione Fallimentare. È così che Pietro Cavallotti si è voluto laureare in giurisprudenza. Avrei anch'io la stessa tentazione.
Leggo quindi per la prima volta una tesi di giurisprudenza e mi rendo conto a cosa serva il liceo classico, la scuola superiore italiana snob per eccellenza e tradizionalmente di formazione dei governanti: a creare burocrati di lusso, che usano un italiano desueto e incomprensibile, autoreferenziale, incentrato sulla forma e infiocchettato di "brocardi", ovvero massime giuridiche in lingua latina; un linguaggio forbito, che giustamente Pietro Cavallotti descrive con l'appellativo di “dotte disquisizioni e raffinati paralogismi”. La tesi è arricchita da aforismi di autori di ogni tempo, che segnano il passo. Mi colpisce la frase di Pier Paolo Pasolini "Il successo non è niente. Il successo è l’altra faccia della persecuzione.”
Il mio viaggio continua...
Ho conosciuto il caso di Pietro Cavallotti e della sua famiglia l'altro giorno in tv a "Quarta Repubblica": mi ha chiamato una mia nipote al telefono per dirmi di girare su Rete 4 sul programma condotto da Nicola Porro. Pietro Cavallotti si trova nel girone infernale della Sezione Misure di Prevenzione, da lui giustamente equiparato al girone infernale della Sezione Fallimentare, girone in cui mi trovo io con la mia famiglia.
Pietro Cavallotti e la sua famiglia, originari di Belmonte Mezzagno in provincia di Palermo, sono stati imprenditori perseguitati come mafiosi per più di vent'anni, la loro azienda distrutta, la casa dei suoi genitori e quelle dei suoi zii vandalizzate, perché confiscate dall'antimafia e rimaste senza sorveglianza. Il caso dei Cavallotti rientra nel "Sistema Saguto", in cui l'antimafia ha fatto più danni della mafia.
Nel frattempo Pietro Cavallotti lo scorso anno accademico 2019/2020 si è laureato in giurisprudenza con una laurea magistrale all'Università di Palermo dal titolo: GLI ECCESSI APPLICATIVI DELLE MISURE DI “PREVENZIONE ANTIMAFIA” Uno sguardo alla prassi e proposte di riforma. Altro punto in comune: quando sei nel girone infernale, ti viene voglia di andare a capire in cosa veramente consistano gli studi di giurisprudenza. La tesi è dedicata a tutte le vittime innocenti della malagiustizia.
Tuttavia il punto a monte, che mi avvicina di più con Pietro Cavallotti, è la parola "mafia". Se fossi un giurista, indagherei sulle cartolarizzazioni dei crediti derivati da mutui ipotecari e quanto la mafia si sia insinuata in questa tecnica finanziaria, regolata e regolamentata per legge, che consiste nella vendita dei crediti vantati dalla banca, come appunto i mutui, a una società chiamata ‘società veicolo". Ma ti puoi fidare dell'antimafia? È possibile che venga indagato tu per primo di accusare il sistema come mafioso senza averne le prove. Non sia mai che il suddito si ribelli.
La sfortuna maggiore per noi della CAMA è di aver contratto un mutuo ipotecario per l'ampliamento del laboratorio nel 1999, anno in cui lo Stato ha approvato le cartolarizzazioni dei crediti delle banche. Grazie a questo escamotage le banche hanno potuto continuare ad erogare mutui, pur nella consapevolezza di una crisi mondiale incombente. Mediante le cartolarizzazioni le banche non perdevano di liquidità a spese degli imprenditori, che invece avrebbero perso tutto proprio per il tramite di quei mutui.
Quando finisci nelle maglie del fallimento, la tua famiglia viene attaccata dalle banche su due fronti: lo Stato si presta a fare da esecutore per l'acquisizione dei tuoi beni mobiliari e immobiliari sia dell'azienda che di proprietà personale; dall'altra parte i cartolarizzatori dei crediti delle banche ti attaccano come persona fisica e, sempre tramite il benestare dello Stato, ti pignorano il conto corrente e il tuo stipendio.
Con il fallimento vivi così un'esperienza di limitazione della tua libertà. Non potrai più essere un contribuente. Fare la dichiarazione dei redditi è infatti per me espressione di libertà come andare a votare. Io non faccio più una dichiarazione dei redditi dall'anno in cui l'azienda è andata in sofferenza. Allora mi chiederete: come vivi? Sopravvivo. Si vive anche con poco, anzi pochissimo ma è una non-vita: rinunci a rifarti una vita professionale, non compri niente, non coltivi vizi di nessun genere e speri di stare sempre in salute. Per fare le analisi del sangue, vai a fare una donazione. Così risparmi sul ticket. Per mantenerti in vita, se hai un posto dove stare, ti bastano poche centinaia di euro al mese.
La mia scelta di vita è determinata dal fatto che in un fallimento non sai cosa ti potrà succedere. Quindi io ho deciso in questi anni di non accumulare risparmi. Ho rinunciato ad una carriera. Ho fatto bene. I cartolarizzatori mi sono infatti venuti a cercare dopo ventuno anni dalla stipula del mutuo ipotecario della fabbrica. Nel conto corrente mi avrebbero requisito tutto. Se avessi avuto uno stipendio, mi avrebbero preso fino al 50% dello stesso. Infatti ogni banca può pretendere 1/5 dello stipendio fino al raggiungimento della metà di quanto ti paga un'azienda. Questa persecuzione sarebbe durata per tutta la mia vita lavorativa.
In questi anni noi della famiglia non ci siamo dotati di un avvocato. Non ce lo saremmo potuti permettere. Quindi siamo stati letteralmente massacrati da quello Stato, al quale mandavamo ogni anno i nostri contributi. Ora con la morte civile, tramite la realtà aberrante del fallimento, ho potuto conoscere la vera natura del nostro Paese. Una domanda mi sorge spontanea: qual è l'interesse dello Stato nel far fallire le aziende in tempo di crisi? A chi porta benefici il fallimento? Qual è la spesa dello Stato in un fallimento? Qual è il ritorno economico dello Stato in un processo di distruzione di aziende e contribuenti specchiati?
Quando con qualcuno ti senti in rapporto di sudditanza, sei davanti a un burocrate. Le cose ti cadono dall'alto e tu non vieni trattato alla pari? Chi hai davanti è un burocrate. A livello pubblico può trattarsi di un impiegato dello Stato, di un sindaco, di un governante, di un insegnante, di un avvocato o di uno psicologo. Di solito da un burocrate ti divide un tavolo. Il burocrate decide della tua libertà.
Anche nel privato ci possono essere burocrati che ti limitano l'azione, volendo decidere per la tua vita: sono i mariti-padroni. Essendo alto in Italia il numero di burocrati, certe volte quel marito-padrone è anche un impiegato statale. Un doppio burocrate. Anche i dipendenti privati che pensano solo allo stipendio sono burocrati, perché nel lavoro non mettono i valori, che garantiscono una partecipazione attiva all'azienda. A difendere i dipendenti ci sono poi i sindacati, altri burocrati.
Essere burocrate è una piaga sociale, una condizione retrograda del tempo del re, come il regio decreto sui fallimenti, che risale al 16 marzo 1942, ovvero al regime fascista. Il 1942 è detto anche Anno XX E.F. L'anno fascista iniziava infatti il 28 ottobre di ogni anno e durava un anno solare. Il mese di marzo 1942 rientra nel penultimo anno del ventennio fascista. Il fallimento rappresenta la concordanza temporale perfetta con un passato anti-democratico.
Il fallimento è per mia esperienza l'espressione più aberrante operata dalla burocrazia italiana, perché qui manca totalmente la cura del cittadino: ti ritrovi ad essere cullato per anni da burocrati boia e aguzzini, che prendono la tua vita in mano fino a renderti una nullità, spegnendo ogni tua risorsa, senza la possibilità di rifarti una vita lavorativa e procurandoti così la morte civile. Il fallimento è una sottomissione contro la quale "non si può fare nulla", dicono anche i burocrati più teneri di cuore.
Essendo in Italia la burocrazia preponderante, ci troviamo in un Paese svantaggiato, incapace di evoluzione, in cui i cambiamenti non sono radicali ma dei "maquillage", perché per natura la maggioranza vive in una condizione di burocrazia. I burocrati sono persone di natura fondamentamente passiva e anche poco intelligenti, insensibili ai motivi fondanti della vita, senza una visione globale dei fenomeni. Vivono per competenze, in una posizione di comodo. Si basano sulla forma.
Il contrario dei burocrati sono gli artisti, coloro che si prendono cura di te e ti trattano alla pari, che ti coltivano come se tu fossi più preziosa della loro stessa vita. Se sei davanti ad un artista, quella persona darà tutta se stessa per far sì che tu raggiunga un risultato, risolva un tuo problema ad esempio di apprendimento, trovi una soluzione alla tua necessità di evoluzione, che ti dia soddisfazione nel più breve tempo possibile. Gli artisti non si trovano spesso nella scuola, che diventa un'involuzione burocratica, condizionata dalle graduatorie, in cui il talento non può essere misurato. Un artista vive di comunicazione, di arte e di calore. Un artista fa circolare esperienze e insegnamenti. Un artista si mette al tuo fianco in maniera informale.
In un sistema burocratico, freddo e senza cura, vige invece il disinteresse per la qualità delle persone che sono al comando, perché per un burocrate ciò che importa è il denaro. La giustizia dei fallimenti si afferma sul denaro, sul suo uso e sulle sue manifestazioni. Sarà chiaro quindi quale sarà la tua sorte esemplare se sbagli in fatto di denaro. Se sei un imprenditore e fai un errore in tempo di crisi, coi burocrati dei fallimenti non avrai scampo.
Nella macchina burocratica, quando tu, imprenditore, non puoi più partecipare al gettito delle tasse, allora se sbagli, devi fallire. Ti prenderemo tutto quello che hai: beni immobili, beni mobili e anche il tuo stipendio, fino alla sua metà, nella malaugurata sorte in cui tu sia uscito da socio dell'azienda. Rimarrai un fidejussore. Faremo in modo che i creditori siano soddisfatti, in particolare le banche. Svenderemo tutti i tuoi beni. Siamo autorizzati. Non esiste anti-dumping neanche per il tuo campionario e i semilavorati rimasti nella fabbrica: li abbiamo venduti all'asta per quattro spicci ad un tuo ex-concorrente rispetto ad un valore migliaia di volte superiore allo stesso. Tu, imprenditore, avrai in cambio la morte civile, perché non si ammettono errori di sorta, neanche in una crisi planetaria. Siamo sotto il re e il re decide che sei un suo indegno sottoposto. Devi morire. Ti verrà requisita la tua libertà.
Riguardo al concetto di libertà, proprio l'altro giorno, passando in macchina, ho visto un'altra fallita di Deruta. Ho abbassato il finestrino e, commossa tra le lacrime, le ho detto "Siamo anche noi nelle stesse acque. Ci portano via la casa all'asta!". E lei mi ha risposto "Non ne parliamo. Siamo in galera." È così che ci si sente in un fallimento: ti senti privato della tua libertà.
Intanto ho scoperto che il bue è un toro ammansito dal fatto di essere stato castrato. Chi ci avrebbe mai pensato? In questo modo il bue può essere usato per tirare il carro al mercato oppure l'aratro nei campi. Non male il bue come figura retorica, perché ci riporta ai tempi del re. L'asinello ci conduce ancora più indietro, alla nascita di Gesù! L'asinello sono i dipendenti, che chiamati in causa per illustrare la conseguenza più grave del loro gesto di aver fatto fallire l'azienda, ovvero che ci viene portata via la casa all'asta, ci rispondono che "Ci hanno aiutato" oppure che "Noi non ci siamo più fatti sentire". Ripetono tutti la stessa cosa e questo mi fa veramente paura.
Allora la mia mamma si è resa conto che aver firmato le fidejussioni per le loro case non è servito a niente. Non sono servite a nulla neanche altre azioni fraterne. Aprirà così gli occhi su quanto per gli altri non valgano i gesti intangibili. Finalmente una cosa positiva! Io vivo di intangibilità, ovvero di studio, comunicazione e marketing, e, nonostante i miei attuali 90 kg. di stazza, nella fabbrica mi sentivo trasparente, perché mi occupavo della vendita delle majoliche contro i dipendenti che realizzavano prodotti tangibili, così belli che si vendevano da soli.
Le forze in campo sono le seguenti, in ordine di rispettabilità sociale:
1. Avvocati, detti "burocrati di lusso", con i gradi successivi: giudici, magistrati etc.;
2. Sindacalisti;
3. Commercialisti e consulenti;
4. Dipendenti delle aziende private;
5. Aziende private fallite, ovvero "il bue"
Le posizioni da 1. a 3. sono zecche passive, che non producono ricchezza, ma che sono interessate rispettivamente a mungere la mucca, nella figura dei sindacati, ovvero a sfruttare le risorse dell'Italia finché possibile. Quale merito miracoloso avranno i dipendenti in fase di fallimento di un'azienda privata per godere di cassa integrazione, tfr e disoccupazione, mentre gli imprenditori non sono tutelati? Gli altri, ovvero avvocati, commercialisti e consulenti si occupano invece di ammazzare il bue, ovvero chi produce ricchezza, le aziende private in fondo alla lista. In natura sul bue ucciso si sfamano infatti i leoni, poi gli avvoltoi e infine gli insetti. Tanto poi ci saranno altri imprenditori italiani che apriranno altre aziende in Italia. Gli stessi operatori di giustizia non si fermeranno finché non avranno raschiato il barile e tu, fallito, avrai come conseguenza la morte civile.
Il fallimento in Italia è una vera e propria industria, basata su un regio decreto del 1942, che dà lavoro a tutte le zecche dei burocrati e in cui i dipendenti privati traditori si prestano ad ammazzare il bue, la loro azienda, perché incapaci di autogestione. I più alti nella lista tengono a che i dipendenti delle aziende private rimangano passivi e non conquistino la loro libertà. I sindacati stessi non hanno interesse a generare consapevolezza nei dipendenti privati per riprendere le aziende in sofferenza, ad aiutare il "padrone" in tempo di crisi. I sindacati preferiscono invece sostenere l'industria dei fallimenti, una pratica crudele di persone senza scrupoli, menefreghisti, maiali infiocchettati, persone senza dignità, che si dicono nostri connazionali e si chiamano italiani.
E dire che si ammazza il bue in nome dei diritti, valori che poi si traducono in soldi. È proprio quando si mascherano i delitti con i valori, che qui si insinua anche la mafia tramite le banche e i loro crediti deteriorati. Questi no, i crediti non possono morire. Non esiste prescrizione. Al posto dei crediti delle banche deve morire il bue, che garantiva il gettito delle tasse nelle casse dello Stato. I crediti delle banche permettono così di mantenere salda l'industria dei fallimenti. Con le banche di mezzo e il loro seguito di scatole cinesi dei cartolarizzatori tu, bue, non hai scampo. Siamo un popolo di venduti e quando andremo a finire male, ne conosceremo almeno la ragione.
EDIZIONE SPECIALE POST DELLA DOMENICA
Tra il tribunale di Perugia e la procura di Firenze, non si sa dove ci sia più feccia. Da qualche anno sulla stampa girano infatti le vicende legate al giudice del tribunale sezione fallimentare di Perugia, Umberto Rana. Ci vogliono far credere che sia il protagonista di un sistema di corruzioni, di cui lui è uno dei nomi più in vista. Saranno gli accusatori i corrotti e pure mafiosi!
Non credo una parola di quanto scrivono i giornali riguardo alla corruzione del giudice Rana, soprattutto per l'elenco specifico di utilità, tra cui i buoni acquisto in un paio di boutique del centro di Perugia. Gli accusatori sono ignobili traditori dello Stato. Conosco bene questi giochini da miserabili per screditare le persone. Vigliacchi.
A fare da sponda a Perugia interviene la procura di Firenze. Pensate veramente che noi del popolo italiano siamo tutti fessi? Poi da quando ho saputo che a giurisprudenza accedono i più somari di un liceo, da allora non ho più rispetto per nessuno. Si spiegano così i 250.000 avvocati in Italia. Quando gli stessi avvocati, giudici o magistrati si trovano sul campo, vestita la toga del colore dei beccamorti, si abbassano a livelli ignobili, venduti da postulato per la loro natura di taccagni, "pidocchiosi" in perugino. Se ne salvano in pochi e tra questi il giudice Rana.
Il giudice Rana è per nostra esperienza una persona squisita, intelligente e anche dai riflessi pronti, visto il suo intervento a protezione della collega giudice, a cui ha salvato la vita nel 2017 proprio nel tribunale di Perugia. Un giudice che sicuramente dà fastidio allo zoccolo duro del tribunale fallimentare di Perugia, ovvero ai collusi di mafia che tengono al fallimento delle aziende, così da perpetrare il commercio illecito di beni mobili e immobili in tempo di crisi. Oppure...gli stessi giudici per ideologia fanno dei fallimenti una questione di principio, non rendendosi conto che le ideologie aprono la strada alla delinquenza. Quindi anche in questo caso si è delinquenti con loro, coi mafiosi delle banche e la mafia delle cartolarizzazioni ad esse legata.
Mi domando perché nessuno del popolo dei falliti scenda in difesa del giudice Rana. Siamo forse stata l'unica azienda umbra, che il giudice non voleva far fallire? Noi non conoscevamo il giudice Rana. Il giudice Rana, un vero signore, si venne anche a scusare coi miei genitori per non averci potuto aiutare a salvare l'azienda dalla denuncia del mio zio, ex-dipendente, che reclamava il tfr e coi cui soldi ha comprato un'Alfa Romeo rossa fiammante.
Vergognatevi. Vediamo un po' a quanti fallimenti si è opposto il giudice Rana e poi ne riparliamo. Che lo Stato si riprenda in mano il governo dei tribunali fallimentari, delegittimati da gente indegna. Io mi dissocio dal popolo italiano, che dite di rappresentare.
Il fallimento non si ferma neanche davanti alla morte di un debitore. Sono segni orrendi di una civiltà non evoluta, cinica e crudele come la mafia, che in essa opera e che ha messo le radici in tutta Italia. Come disse Andrea Camilleri, in Italia "Siamo portatori sani di mafia."
Andiamo alla mia esperienza personale.
la mia guerra a colpi di saggi contro il commercio illecito dei fallimenti |
I cartolarizzatori quindi ti vengono a cercare anche dopo morto. Ho spiegato ai call center di non dovere nulla nella mia persona di quanto loro chiedono, che io sono una donna e non un uomo, che la loro azienda nei miei confronti è in violazione della privacy. Mi rispondono che è così la legge. Ma come sono finita in quell'anagrafica? Intanto io rispondo loro che i morti non si disturbano.
Ieri mi hanno chiamato da un call center in Albania. Stamattina di nuovo. Anche la mafia si organizza per risparmiare, andando in subappalto in Paesi più economici. Io non ho parole.
Come può lo Stato permettere azioni obbrobriose di questo genere, ovvero che anche i morti non trovino pace davanti alla mafia, che acquista i crediti delle banche e che poi perseguita anche i contribuenti deceduti? Intanto i tribunali fallimentari portano via i beni materiali ai morti, perché si fallisce anche dopo morti.