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venerdì 11 giugno 2021

Triangolo verde


foto di PIETRO MICHELETTI

Se fossimo vissuti veramente nel 1942, al tempo del regio decreto sulla legge fallimentare, noi della famiglia Niccacci saremmo finiti in un campo di concentramento con il triangolo verde rovesciato: la nostra divisa a strisce bianche e blu del colore del jeans. In ogni modo il mio pensiero in questa tortura del fallimento va ai carcerati di oggi e ai detenuti nei campi di concentramento e di sterminio, di cui Auschwitz ne fu un esempio di sintesi, come scrive Enzo Traverso nella prefazione all'opera di Charles Liblau "I kapo di Auschwitz". Io in quest'esperienza di fallimento mi sento accomunata alle persone private della libertà e anche a quelle sottoposte a violenza da parte dei burocrati. Come insegnano gli americani, nessuno ti può dire niente se tu esprimi quel che provi. 

Ora è successo che per recente disposizione del tribunale di Perugia, un curatore fallimentare verrà sottoposto a processo...penale! Quindi il curatore-kapò rientrerà nei ranghi e tornerà un comune mortale come noi, dopo aver patito chissà quale condanna. D'altra parte il curatore l'avevano selezionato tra il popolo, non era tra i superuomini e le superdonne dei giudici. L'operatività nella sezione fallimentare deve rispondere ai canoni della crudeltà più assoluta e se si allenta la corda, la repressione sarà impietosa...ma questa è la descrizione di quel che accadeva in un campo di concentramento! I giudici comunicano che il provvedimento nei confronti del curatore fallimentare è funzionale alla serenità del procedimento. Non posso scrivere quel che penso, perché sarebbe auto-annientamento. 

Da quest'esperienza di fallimento, mi sembra di constatare che la burocrazia della giustizia non si sia evoluta da allora; siccome non puoi contare su un loro cambiamento, perché i fallimenti relativi all'industria, al commercio e all'artigianato non vengono trasferiti in toto alla Camera di Commercio e sgravati delle condanne civili? I burocrati del tribunale non dovrebbero trattare la materia d'impresa; il fallimento andrebbe considerato sotto altri termini, evitando così le attuali ignobili conseguenze di stillicidio personale dei falliti e di distruzione di beni e immobili per alimentare un'industria come quella dei fallimenti, che tramite le aste giudiziarie esula indisturbata da ogni regola di non concorrenza e di rispetto della persona. 

In Italia, specie in questo momento, abbiamo la necessità di costruire anziché distruggere. La sezione fallimentare dei tribunali è invece una macchina di annientamento di persone e aziende. La Camera di Commercio, nata invece per tutelare gli interessi collettivi, sarebbe di conseguenza un luogo più consono alla risoluzione del problema dei fallimenti: non sarebbero altrettanto feroci come i tribunali, terrebbero al mantenimento anziché adoperarsi alla devastazione. Così gli avvocati, che ruotano intorno alla sezione fallimentare, si andrebbero a cercare un altro lavoro, magari di aiuto alla costituzione della aziende, come fanno nei Paesi civili, con lo scopo di sostenere i futuri imprenditori, dotandoli dei migliori strumenti di salvaguardia personale e d'impresa.  

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