La legge sul fallimento risale ad un regio decreto del 1942. Ecco una foto del tempo. |
Che sono una poveraccia si vede poi dalle foto. Risulto trasandata, eppure non mi sento così, ma dal mio volto traspare la sofferenza: mi vedo trasformata. Non sono di certo la persona speranzosa di dieci anni fa, che era partita per l'avventura, scoprendo altri territori, per riaprire chissà quale azienda insieme agli altri in tempo di crisi. I sogni sono tutti svaniti e mi ritrovo grassa e sfatta. Sono anche cambiata da quando ho pubblicato il saggio sul cantante lirico, solo tre anni fa, sul quale contavo per farmi conoscere. Non ha funzionato neanche questo, eccetto per il fatto che un professore di archivistica mi ha inserito in un gruppo di ricerca per la pubblicazione di un saggio su un altro personaggio del luogo.
Non è che in passato chissà quali lussi mi sia concessa: ho sempre lavorato da lunedì a lunedì in una vita condizionata dall'azienda. In alternativa alla fabbrica ho cercato anche altre strade nel lavoro impiegatizio, ma l'esperienza più bella è stata quella nata dalla mia vocazione per gli ospedali: ho seguito un corso di formazione a geriatria e sono andata a lavorare in una casa di riposo come inserviente, oggi OSS. Poi più di dieci anni fa gli eventi mi hanno riportato alla fabbrica ed eccomi qui a patirne le conseguenze. Comunque l'esperienza di fallimento mi ha avvicinato agli ultimi, soprattutto a coloro che sono dietro le sbarre, che vivono la mia stessa situazione di segregazione. Quindi il mio prossimo passo è di andare a fare volontariato nelle carceri per conoscere i miei pari, perché una delle conseguenze del fallimento è la mancanza di libertà.
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